Esistono momenti della vita anche professionale di una persona in cui è utile mettersi a nudo. Questo momento, per ciò che mi lega alla Juventus e alla cruda attualità di un’eliminazione senza se e senza ma, per me è venuto. Non è ancora arrivato invece il momento per Massimiliano Allegri, che almeno i se e i ma se li risparmia, forte di un contratto ancora in essere, delle sue dottrine su come si deve stare al mondo raccontate dal piedistallo e di quel modo che ogni allenatore ha di proteggersi dal dialogo con il pubblico del calcio. Loro, d’altronde, non parlano con la gente. Parlano alla loro gente attraverso i giornalisti. Me lo ricordava un amico pochi giorni fa, in effetti: se parli ai media è perché è un rito, perché devi, tutto catalogato e inevitabile. Fino a quattro round in una settimana, un’ora se basta per ogni round, hai parlato quattro ore più o meno con le stesse persone. Persone che nella tua vita non rappresentano granché. Persone che per te sono strumenti, non persone. Parli con la carta, con la telecamera, senza vero contraddittorio, senza naturalezza. Parli, ma sei da un’altra parte. Te stesso unicamente quando sei incavolato nero o quando sei strafelice. Ecco, l’Allegri dopo Ajax è la maschera necessaria del prodotto di cui sopra. Non è diverso dagli altri e non gli si può chiedere di esserlo. Parte con il pilota automatico, come racconterebbe una partita di campionato contro il Genoa. Come io racconterei la mia giornata di lavoro a mia moglie, dovessi raccontargliela tutti i santi giorni. Insomma, Allegri è ormai navigato e rodato, e sceglie con nonchalance di non mettersi a nudo. E allora tocca farlo a me, perché questa volta mi viene proprio così. Cosa ho pensato prima della partita? Sono onesto: che il ballottaggio Kean/Dybala, forse anche un po’ amaramente perché siamo tutti figli di ciò che vorremmo accadesse, non avesse senso di esistere. Troppo fuori da questa Juve Dybala, con il corpo e con l’anima, perfetta antitesi dell’aggresività e della fisicità professate da Allegri alla vigilia; troppo adatto Kean ad allungare l’Ajax e poterlo prendere alle spalle da fresco. Ed ecco perché respingo ogni obiezione sui 45 minuti del giovanotto: queste partite le devi vincere da subito. Le vinci nel tunnel, le vinci nei primi dieci minuti. Siamo andati anche in vantaggio, ma per metà tempo abbiamo imposto all’Ajax un big match all’italiana (che hanno incredibilmente saputo accettare) nei quali a dire il vero raramente a una delle due gira la testa. E anche la seconda scelta, De Sciglio per Cancelo, non mi trovava d’accordo perché ne nasceva un undici da 1-0 in campionato. Ormai ci conosciamo piuttosto bene, rileggetelo l’undici di partenza. È esattamente quella cosa lì. E cercare di portare l’Ajax sul tuo terreno congeniale (la vittoria di misura in Serie A, una palla a me e una a te, possesso 50 e 50, un angolo a me è un angolo a te) mi è sembrato un goffo ma definitivo tentativo di rinnegare ciò che si era visto un’era geologica fa a Old Trafford e ciò che si era creduto di vedere nel ritorno con l’Atletico. Diciamolo: non c’è nulla di inaccettabile in tutto questo fin che i risultati sono dalla tua parte. Così come Allegri ha costruito una coerenza europea, tradotta come il salto in avanti che mancava, attraverso la capitalizzazione pressoché totale dei momenti. A parte Berlino (maledetto quel tiro di Tevez), a parte Evra (se c’era Chiellini…), a parte Cardiff (beh dai, la differenza la fanno Ronaldo e le panchine), ci sono tra gli esempi i due tiri di Wembley, un tiro e mezzo in due partite contro il Monaco 2015, quattro tiri e tre gol nel ribaltone con l’Atletico, un tiro al Bernabeu contro quel fesso di Ancelotti, forse due tiri ma non sono sicuro in casa contro il Real 2018 e addirittura tre su tre nella gara di ritorno. Contro Onana facciamo più o meno la stessa cosa. Onana, forse un tiro nello specchio escludendo i colpi di testa. Una punizione o due da distanza siderale in 180 minuti. Da dove quindi ripartire per l’Europa, rubo il termine, pare piuttosto semplice: delle basi, che sono le basi poste da Pavel Nedved nel prepartita. Saper offendere (non è il momento di fare i permalosi).
Luca Momblano.