“Challenge. Change. Live.”
Tre parole d’ordine, uno slogan che forse può aiutarci a comprendere una Juventus sempre più differente da sé stessa, dalla sua storia, ormai irriducibile ai tentativi dei suoi tifosi e dei suoi detrattori di definirla, racchiuderla, ideologizzarla. Una Juve che compie, anno dopo anno, scelte rivoluzionarie, imprevedibili alla vigilia, suscitando uno spettro infinito di reazioni, dal compiaciuto allo spaesato, fino al rabbioso. Perché la tifoseria è ampia, caratterizzata da ogni genere di temperamento e attitudine. Ma di certo è abituata a un concetto di Juve che Andrea Agnelli sembra, nella sua visione a lunga gittata, impegnato costantemente a smontare e rimontare, in una ricerca incessante della leadership mondiale. E con un culto del branding e del marketing che ricorda il Barack Obama versione 2008 ma che, italianizzando e banalizzando, sembra spesso inseguire il refrain “non importa come, purché se ne parli”.
Tante le scelte che hanno, negli ultimi anni, spiazzato il pubblico. I tanti addii, diversi nella forma ma simili per il fulmineo esercizio della ragion pratica nel voltare pagina (Del Piero, Buffon, Marchisio, Marotta), la partenza e il rientro da figliol prodigo di Bonucci dopo la stagione al Milan, il colpaccio planetario, senza antecedenti storici in bianconero, che corrisponde al nome di Cristiano Ronaldo.
Ma il presente sta superando qualunque precedente evocabile. Alcuni fatti recenti ci possono far concludere che dalla Juventus, oggi, possiamo aspettarci di tutto. Quel nocciolo di valori, aspetti stilistici, abitudini è in continua discussione. Con una logica di fondo e degli aspetti di continuità, certo, che proveremo a sorprendere, ma che in futuro sfuggirà sempre più alle schematizzazioni.
LA MAGLIA
Per la prima volta nella modernità della sua storia ultracentenaria, la Juventus 2019-2010 non avrà le strisce. Due bande, una bianca e una nera, separate da una sottile striscia rosa che ricorda i colori delle origini. Ad alcuni piace, a molti altri no, a tantissimi risulta sgradevole. Ma la Juventus sceglie questo cambiamento, pur momentaneo, per raggiungere i mercati statunitensi e asiatici dove le stripes erano meno vendibili su ampia scala. E sfrutta l’occasione promuovendo la nuova divisa con una campagna media perfino geniale: tutti i calciatori racchiusi in un abbraccio a formare, in una foto di gruppo, le strisce. Per rilanciare il concetto di Juventinità attraverso l’unione, il collettivo. Una Juventinità non individuale, ma di relazione. #BeTheStripes, dice la Juve ai propri uomini e ai tifosi, ma smette di indossarle.
SARRI
Via Allegri dopo un quinquennio vittorioso ma divisivo, probabilmente per una proposta di calcio ormai scarica, poco propositiva ed identitaria, la tifoseria ha sperato in una scelta mondialista sulla scia dell’affare CR7. Si credeva in Guardiola, si sperava, in alternativa, in un altro profilo big come Klopp. Si sarebbe accettata una scelta giovane, un atto di fede verso un giovane tecnico emergente in sintonia con lo slogan “la Juve ai quarantenni” già in vigore nel management. Arriva un sessantenne, poco incline al culto della propria immagine e dell’eleganza in genere e con una storia personale che è quanto di più lontano possa esistere da ciò che chiamiamo “stile Juve”. Un arrivo accompagnato da una conferenza stampa in cui non si fa nulla per impedire che il tema del suo passato sia preponderante e da una campagna social decisamente minimalista. Cosa c’entra questo con una Juve che vuol essere ipertrofica e dominare le scene, sul campo e fuori? Come si concilia con la “leading attitude“?
I PROCURATORI
Il mercato in corso sembra segnato da un ritorno al rapporto con alcuni procuratori molto discussi. Uno su tutti Mino Raiola, già protagonista dello scambio Spinazzola-Pellegrini, presto sugli altari (speriamo) per il trasferimento in bianconero del baby-fenomeno De Ligt, attore possibile del sogno Pogba, irreale ma forse non del tutto abbandonato. Non va trascurata neppure la figura molto chiacchierata della signora Veronique Rabiot, convinta (ci dicono) a portare a Torino il figliolo da un assegno di dieci milioni di euro. La Juventus rinuncia al celodurismo mostrato per anni, ed intrattiene rapporti con intermediari da gioie e dolori, di quelli che ti metti in casa il tesoro ma anche il ladro. Intanto ci si gode il tesoro.
BUFFON
In genere la Juventus non è incline a ritornare sui propri passi in certi casi. Lo ha fatto per Lippi, lo ha fatto per Bonucci, ma erano professionisti in piena attività e, pur con molte criticità, il loro ritorno in bianconero atteneva alla sfera del razionale. Ma se il Capitano, dopo diciotto anni in bianconero, dopo essere stato l’icona, la forza, la storia del Club, va via a 40 anni suonati, saluta lo stadio tra lacrime commosse, sceglie di non smettere ma di riprovare l’assalto alla Champions con un’altra maglia… non ti aspetti che dopo dodici messi possa tornare a casa. Accettando un’annata da secondo, ok, ma ben sapendo di non essere un “12” qualsiasi. Lo sa lui, lo sa la società, lo sa Wojciech Szczesny e lo saprebbe chiunque dovesse difendere la porta bianconera 2019-2020.
Non abbiamo espresso alcun giudizio, solo enunciato dei fatti. Di fronte ai quali ognuno prende posizione. C’è chi, ad esempio, ha dichiarato di volersi prendere un anno sabbatico da tifoso dopo la scelta Sarri, chi al contrario ne è molto fomentato in positivo. Qui non distribuiamo patenti da tifoso. Piuttosto “fatevi curare”. Ma una logica di questo nuovo corso della Juventus vogliamo provare a coglierla.
E’ un progetto di leadership, di dominio. La Juventus vuole comandare, vuole essere quello che essa sceglie di essere e non quello che altri le permettono. La Juventus vuole tenere la palla in campo e difendere in avanti, e per quello sceglie di farsi aiutare da un uomo discutibile ma al quale nessuno ha mai regalato nulla, che ama il calcio di possesso e che non coltiverà mai la propria immagine al punto di oscurare quella del club. La Juventus vuole che chiunque faccia un giro in Central Park o nella Città Proibita non veda bambini con indosso solo maglie del Barca o del Manchester United, ma che campeggino tanti “7” di Cristiano Ronaldo, pur con una striscia rosa nel mezzo. La Juventus vuole che il portiere più forte della sua storia e, forse, di quella del calcio, se ammette di aver sentito la mancanza della tua aria al punto di accettare un ruolo da comprimario e uno stipendio tra i più bassi in rosa, stia nel tuo organico piuttosto che altrove.
“Non è solo questione di vincere, ma di agire e comportarsi da leader”, recita il video promo diffuso da Juventus all’alba della nuova stagione. Perchè l’obiettivo di vincere è sempre il tratto basilare, immodificabile. Ma l’atteggiamento con cui si persegue cambia. La Champions League è il caso, non puoi programmarla perché non obbedisce a nessuno schema. Ma puoi programmare di essere il Top. Il Dream Team. E se Champions sarà, un giorno, lo sarà all’insegna di questa ricetta.
Piaccia o non piaccia, abituiamoci ad essere sorpresi. Io sono, quanto meno, curioso. Ed il mio abbonamento, per la prima volta a quattro cifre, l’ho già rinnovato.