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All’Olimpico non basta Lemina

Lemina apre i giochi, ma la Roma ribalta il risultato con De Rossi, El Shaarawy e Nainggolan. Serviranno ancora tre punti per lo scudetto

«Non abbiamo ancora vinto nulla». Allegri lo ripete da tempo e la prima delle due serate romane della Juventus lo sottolinea. Ci sarà ancora da lottare per conquistare lo scudetto, perché all’Olimpico vince la Roma, nonostante il vantaggio iniziale di Lemina. De Rossi prima e El Shaarawy e Nainggolan dopo ribaltano il risultato e costringono i bianconeri a dover guadagnare ancora tre punti per festeggiare.

SI PARTE CON IL 4-3-3

Alla Juve basterebbe un pareggio, ma non si può speculare, anche perché la Roma ha invece assoluta necessità di vincere visto che il Napoli l’ha scavalcata in classifica. Allegri oltre a dover fare a meno di Marchisio e Khedira, rinuncia precauzionalmente anche a Dybala. Si parte quindi con un 4-3-3, nel quale Lemina e Sturaro affiancano Pjanic in mezzo al campo, mentre Cuadrado e Mandzukic oltre ad appoggiare in avanti Higuain, sono pronti a ripiegare in fase di non possesso per rinfoltire il centrocampo.

LEMINA COLPISCE

Come prevedibile, la Roma parte forte, ma la difesa bianconera contiene senza troppi patemi ed è anzi la squadra di Allegri che potrebbe passare al primo affondo, con la sventola di Asamoah dal limite, che però centra in pieno il montante alla destra di Szczesny. I giallorossi puntano sulla rapidità delle ripartenze e quindi si rintanano nella propria metà campo, lasciando il possesso palla alla Juve che manovra paziente, aspettando il momento buono per liberare l’uomo al tiro. Higuain ci prova dal limite, senza trovare la porta, ma quando al 21′ veste i panni del rifinitore è letale: l’azione parte da Sturaro che disegna una traiettoria perfetta par il Pipita, liberandolo davanti a Szczesny. In una situazione del genere ti aspetti che un bomber di razza come lui vada al tiro e invece ecco l’appoggio morbido per l’inserimento di Lemina, che deve solo appoggiare in rete.

DE ROSSI RISPONDE

La Roma non si abbatte e, pur rischiando di subire il raddoppio ad opera di Higuain che lascia partire da fuori area un destro potente ma troppo centrale, arriva subito al pareggio. Sugli sviluppi di un corner Manolas stacca benissimo, Buffon respinge, ma sui piedi di De Rossi. Il portiere riesce a ribattere anche il primo tentativo del capitano giallorosso, ma sul secondo proprio non può fare più nulla. È una gara bella, equilibrata, agonisticamente intensa. Higuain cerca ancora la soluzione dalla distanza e trova ancora la risposta di Szczesny, mentre Nainggolan pesca in area Salah, la cui girata termina tra le mani di Buffon. Si va al riposo sull’1-1 e con  la sensazione che possa davvero accadere di tutto nella ripresa.

EL SHAARAWY E NAINGGOLAN, UNO-DUE ROMA

E in effetti dopo una decina di minuti di gioco spezzettato, il punteggio cambia ancora. È la Roma a  passare con El Shaarawy, che entra in area, punta Lichtsteiner e lascia partire un destro a pelo d’erba carico di effetto. Più che un tiro sembra un colpo di biliardo,  il pallone sembra destinato a terminare a lato e invece prende una traiettoria strana, che termina sul palo interno e quindi in rete.
Allegri interviene, mandando in campo Dani Alves al posto di Lichtsteiner, ma non c’è il tempo di vedere gli effetti del cambio, perché la Roma colpisce ancora con Nainggolan: il belga scambia al limite con Salah e approfitta di una difesa bianconera troppo statica, per presentarsi davanti a Buffon e superarlo con una fiondata imparabile.

ASSEDIO FINALE, LA ROMA RESISTE

A questo punto Allegri tenta il tutto per tutto, inserendo anche Dybala per Sturaro e Marchisio per Cuadrado. La partita si trasforma in un assedio, ma bucare una Roma arroccata nella propria area è davvero impossibile. Potrebbe riuscirci Bonucci al 40′, ma non riesce a impattare il traversone di Mandzukic e il pallone si perde sul fondo. Tutti gli altri tentativi vengono respinti dal muro giallorosso e nonostante gli sforzi di Higuain e compagni Szczesny non corre più pericoli se non all’ultimo minuto, quando mette in angolo un diagonale pericoloso del Pipita. Vince la Roma e ora la Juve, per festeggiare lo scudetto, dovrà battere il Crotone, in piena lotta per non retrocedere, domenica prossima allo Stadium. Prima però c’è la finale di Coppa Italia da giocare mercoledì contro la Lazio. Un’occasione per rifarsi immediatamente e tornare a Torino con un trofeo da regalare ai magnifici tifosi bianconeri che, nonostante la delusione, salutano la squadra con un lungo applauso.

ROMA-JUVENTUS 2-1

RETI: Lemina 21′ pt, De Rossi 25′ pt, El Shaarawy 11′ st, Nainggolan 20′ st

ROMA

Szczesny; Rudiger, Manolas, Fazio, Emerson; Paredes, De Rossi, Nainggolan (33′ st Juan Jesus); Salah (48′ st Totti), Perotti (25′ st Grenier), El Shaarawy
A disposizione: Lobont, Alisson, Peres, Mario Rui, Vermaelen, Frattesi,  Gerson, Tumminiello
Allenatore: Spalletti

JUVENTUS

Buffon; Lichtsteiner (19′ st Dani Alves), Benatia, Bonucci, Asamoah; Lemina, Pjanic, Sturaro (24′ st Dybala); Cuadrado (32′ st Marchisio), Higuain, Mandzukic
A disposizione: Neto, Audero, Barzagli, Chiellini, Mattiello, Alex Sandro, Rincon,  Mandragora
Allenatore: Allegri

ARBITRO: Banti
ASSISTENTI: Paganessi, Manganelli
QUARTO UFFICIALE: Tonolini
ARBITRI D’AREA: Mazzoleni, Giacomelli

AMMONITI: 1′ st Fazio, 5′ st De Rossi, 44′ st Benatia

Roma-Juve 3-1: Una Juve svagata manca il primo match point

Roma-Juve era il primo match point della stagione ed è andato nel peggiore dei modi: vantaggio sul campo sprecato e vantaggio in classifica assottigliato.

Alzi la mano chi, a fine primo tempo, avrebbe immaginato di vedere una Juve così svagata e arrendevole nella ripresa. Lo splendido gol di Lemina, con Higuain altruista che scherza Fazio alle spalle, aveva messo la partita su binari perfetti. E invece da lì in poi abbiamo assistito a una serie di errori di concentrazione, come in occasione del gol del raddoppio: palla regalata su una circolazione difensiva tranquilla, marcature che saltano sul corner, addirittura due tap-in concessi a De Rossi.

Nonostante ciò, la Juve non è dispiaciuta nei primi 45′. La compagine di Allegri sembrava tutto sommato in pieno controllo della situazione. La gestione del pallone è stata buona, anche perché la Roma non ha forzato i ritmi come forse ci si poteva attendere. I migliori fin lì, con il solito Higuain, due “riserve”: Sturaro iperattivo e Asamoah mai in affanno su Salah. Il solo Cuadrado sembrava fuori dalla partita, sensazione che si è acuita col passare dei minuti culminando in qualche errore tragicomico nella ripresa.

La squadra che è rientrata in campo dopo l’intervallo ha invece concesso a una Roma non trascendentale di prendere campo e fiducia, senza mai attaccarla nel cuore della difesa, suo vero punto debole. Lichtsteiner fa fare a El Shaarawy l’unica cosa che sa fare e la deviazione di Bonucci completa l’opera. Poco dopo, il gol di Nainggolan ci taglia le gambe. Era da Genova che la Juve non usciva in maniera così clamorosa da una partita.

Allegri è corso ai ripari mettendo prima Dani Alves di Dybala: una certificazione dello status spirituale acquisito dal brasiliano in questo finale di stagione. La Roma è però brava a compattare le linee e intasare gli spazi e l’infortunio di Mandzukic, comunque calato tantissimo nel secondo tempo, ci costringe a giocare su una fascia sola gli ultimi dieci minuti, facilitando il compito dei difensori avversari. La parata finale di Szczesny sull’ultimo guizzo di Higuain certifica la serata-no di una Juve che è riuscita a perdere una partita che stava controllando con autorevolezza.

Le scelte di Allegri, in particolare nella linea difensiva, raccontano chiaramente che Roma-Juve era considerata la partita meno importante del prossimo ciclo. Certo, vincere il tricolore all’Olimpico sarebbe stato bello e simbolico, ma la Juve ha un altro trofeo da provare a vincere fra tre giorni e soprattutto altri due match point contro Crotone e Bologna. Non certo una missione impossibile, a patto di recuperare la concentrazione che nel secondo tempo è mancata.

Roma-Juve, spenti prima dei botti finali

Roma-Juve è quando ti spegni poco prima degli ultimi metri. E ora non puoi più sbagliare. Pensavamo fosse facile, pensavamo fosse già morto e sepolto, e forse lo era. Ma basta essere razionali e realistici per capire che non si può arrivare in finale di Champions, in finale di Coppa Italia e giocare alla morte a Bergamo con un’Atalanta soprendente che si gioca l’Europa League, tra un Barcellona e un altro, giocare alla morte contro un Toro che -ovviamente- si giocava la stagione, tra un Monaco e un altro, e giocare alla morte a Roma contro una squadra che doveva evitare di vedere l’odiata rivale alzarle uno scudo in faccia e di farsi scavalcare dal Napoli perdendo 30-40 milioni sicuri di Champions. E la Juve, con questa rosa, questa rosa che sta andando a mille negli ultimi mesi (e negli ultimi 5 anni) non ci è riuscita, non ha giocato alla morte a Bergamo facendosi sorprendere due volte allo scadere dei tempi, non è stata cinica col Toro divorandosi gol su gol prima di riacciuffarla al 90° e non ci è riuscita a Roma, quando dopo un primo tempo in assoluto controllo ha perso totalmente il polso della gara.

Si è visto bene nel primo tempo come la Juve fosse più squadra, più in controllo, più quadrata. Con la Roma in difficoltà nel trovare appoggi sicuri in mezzo senza Strootman, con un Nainggolan a mezzo servizio e senza le sponde sicure di Dzeko. Il solo Salah a lottare contro un Asa che lo rintuzzava bene. Tutto logico e normale, compreso il gol di Lemina su fantastico assist di Higuain.

Poi però la Roma DOVEVA fare qualcosa. Davanti al suo pubblico, non poteva crollare così, senza lottare, cadere al terzo posto, contro la Juve delle riserve che glielo alza all’Olimpico, all’ultima di Totti contro l’odiato Nemico. Così De Rossi va a spingersi avanti. Così la Roma che continua comunque a non essere granché fino al 45° poi ritorna in campo con i denti e la tigna, la voglia di metterci la gamba. Nel secondo tempo subito fallaccio di Paredes, poi fallaccio di Rudiger, poi fallaccio di De Rossi. E’ lì che si intuisce che la Roma vuole lasciare cuore e gambe in campo, mentre la Juve ha cuore e testa altrove e le gambe vuole conservarsele per il rush finale. E’ quella garra col pubblico di casa che ti infiamma che fa rimpallare il tiro di El Shaarawy sia su Licht che su Bonucci e infilarsi nell’angolino di un pallone d’oro Buffon che nell’occasione, con la doppia deviazione, sembra piuttosto di piombo, altro che metallo nobile.

Noi sappiamo benissimo cos’è quella voglia, quella grinta, quel cuore oltre l’ostacolo che fa volare Nainggolan anche con mezza gamba e trafiggerci per il ko definitivo. Poi c’è la reazione, tardiva, la Roma chiusa in area, il rigore netto (ma inutile e non dato) su Dybala, il miracolo di Szczesny su Higuain. Doveva andare così, era giusto così. La Roma aveva la rabbia e la voglia tipica della Juve quando gioca le gare decisive. La Juve aveva la presunzione e mollezza tipica di una Roma quando gioca le gare decisive.

Spiace. Anzi, fa incazzare da morire. Aver ammazzato il torneo e poi essere stati polli con l’Atalanta, molli col Toro e polli, molli e scarsi con la Roma e averlo lasciato lì, vivo. Eppure va detto che prima eravamo stati così bravi da riservarci parecchi bonus, e ora abbiamo fallito solo il primo dei 3 match point a disposizione.

Non è accettabile accusare di presunzione un gruppo che a mille da tre mesi e ci ha portato in due finali e a poter vincere lo scudetto in casa col Crotone. Non è accettabile accusare di turnover il mister che guida la squadra alla grande negli impegni ogni 3 giorni da 3 mesi. Non è accettabile accusare di scarsezza quelle riserve che hanno tenuto testa per un’ora ai titolari della Roma in casa loro nella gara della vita/morte.

Bisogna essere lucidi. Incazzati come belve sì, ma lucidi poi nel contestualizzare e razionalizzare. La Juve ha staccato la spina. Sono umani. La Juve ha riserve che non possono essere all’altezza dei titolari. Lichtsteiner ormai commette più errori e spinge meno di Rudiger, Asamoah si spegne prima di Emerson Palmieri e (palo a parte) forse incide meno. Soprattutto Lemina e Sturaro, pur molto dinamici ed encomiabile il primo per il gol, il secondo per il pressing e il contrasto, restano ampiamente sotto il livello di Nainggolan e De Rossi. I titolari staccano la spina (tranne Pipa), le riserve si adeguano e la squadra si sgonfia e smoscia.

La Juve però è la Juve. La spina la riattacca, l’acceleratore lo spinge di nuovo a tavoletta. Dopo la mollezza di Bergamo (eccetto mezz’ora sublime) ci fu lo spettacolo di concentrazione e tecnica col Barca, dopo lo scarso cinismo col Toro, c’è stata una semifinale di Champions superata in scioltezza e dopo l’opaca mezz’ora decisiva a Roma ci sarà una Juve che ha davanti solo due obiettivi, solo due squadre tra lei e le vittorie che contano: Lazio e Crotone, Crotone e Lazio. Due delle migliori squadre dell’ultimo periodo, due che si giocheranno il tutto per tutto ma troveranno la migliore Juve, affamata, concentrata e vogliosa di fare la storia.

Siamo a +4. Non avremmo certo giocato così le ultime 3 se non fossimo stati a +9. Avremmo giocato col sangue agli occhi e la bava alla bocca e magari reso meno in Champions. Ora è il momento, ora è davvero il tempo bello, gioioso e magico di ritrovare la vera Juve.

 

We ain’t dead yet

Premessa: l’appuntamento con il podcast è per giovedì prossimo. Avremmo tutti voluto celebrare “qualcosa” prima, speriamo di farlo giovedì e poi di nuovo fra sette giorni. C’è da trattenere le emozioni, recuperare la halma e prepararsi alla resa dei conti. Vi dico la mia, in attesa poi di risentirci.

Ieri abbiamo perso una partita che brucia e lo posso capire, ma ciò non giustifica la stupidità di tantissimi commenti letti e sentiti dopo il triplice fischio. Dopo averci dormito sopra (non commentate mai a caldo: il rischio stronzata è elevatissimo), ho tre considerazioni e una bacchettata da fare.

La prima considerazione è che la finale da dentro o fuori la giochiamo mercoledì. E l’avere una finale così ravvicinata (e un’altra a inizio giugno, soprattutto) un ruolo l’ha giocato, eccome. Innanzitutto nelle scelte di Allegri. Rispetto alla gara precedente col Monaco, in cui eravamo in formazione-tipo, contro la Roma avevamo 6 riserve negli 11 titolari. Contro il Torino, la gara precedente di campionato, ne avevamo addirittura 7. È evidente come Allegri, una volta accumulato un buon vantaggio sulla seconda, abbia iniziato a “gestirlo”. Ovvero, a pensare non tanto a chiudere il campionato il prima possibile (non scappa mica, né ti danno due Scudetti invece di uno), quanto ad arrivare alla finale di giugno nelle condizioni migliori. Ciò ha comportato l’adozione di un massiccio turn-over. Non avessimo due finali ancora da disputare, e l’ha detto Daniele De Rossi nel postpartita, avremmo giocato con un’intensità diversa e soprattutto con una formazione diversa. Ma le due finali da disputare ce le abbiamo, così come avevamo (e abbiamo ancora) un vantaggio rassicurante sulla Roma e sul Napoli. La scelta di Allegri è stata atletica, quindi, non tattica.

Anche Inzaghi ha fatto una scelta simile contro la Fiorentina, lasciando 6-7 titolari in panca. E ha perso.

Seconda considerazione: “le riserve non sono all’altezza”, sento da ieri in loop. “Certo, altrimenti non sarebbero riserve”, verrebbe da rispondere. Ma queste sono considerazioni tra il banale e l’ingeneroso. Quest’anno tante partite le abbiamo portate a casa anche grazie alle riserve (o “nonostante le riserve”, se preferite). Le tre delicatissime gare a ridosso della doppia sfida col Barcellona, le abbiamo vinte con 4 difensori più il portiere di riserva (a Pescara), o con 5 riserve in campo (col Chievo), o ancora con Benatia, Asamoah e Lichtsteiner tutti e tre in campo, senza Pjanic (col Genoa). Le due contro Atalanta e Torino, a ridosso del doppio impegno col Monaco, invece, le abbiamo parzialmente cannate portando a casa solo due punti. Con la Roma abbiamo perso. La morale quindi è: se cambi ogni volta (come sta facendo da un mese abbondante Allegri) 5-6 o più titolari, vinci contro le “piccole”, pareggi contro le medie e perdi contro la seconda in classifica. Tutto normale, tutto logico. Per fare più punti nelle ultime tre, avremmo dovuto schierare tutti i titolari. E qui torniamo alla considerazione di prima: Allegri ha una visione a medio termine, con obiettivo unico quello di arrivare con un minutaggio accettabile alle due finali, portando nel frattempo a casa lo Scudo. Non abbiamo ancora perso nulla.

Terza considerazione: ormai abbiamo perso, amen. Col senno di poi, però, non tutto è male. Dopo la scoppola ricevuta, sono sicuro che affronteremo la finale di Coppa Italia con un piglio diverso (di quello che avremmo avuto fossimo stati reduci da feste Scudetto, baldorie, Champagne, discoteche e via dicendo. Perché hai voglia a far finta di non festeggiare: impossibile). Non solo: arrivare emotivamente e sportivamente carichi fino a domenica 21 aiuterà il gruppo a cercare di restare concentrato anche in vista della finale. Avessimo finito il 17 le gare da vincere pre-Cardiff, avremmo avuto 15-16 giorni di nulla. Ora ne avremo qualcuno meno e, soprattutto, la gara più a rischio concentrazione, ovvero la gara con la Lazio, la giocheremo per prima e al massimo della tensione e determinazione. Non fraintendetemi: avrei preferito fare podcast stasera, come detto. Ma è andata così. Tanto vale vederci del buono, oltre ai disastri e ai moriremo tutti (piuttosto patetici). Capisco gli amici juventini di Torino e Roma, che “gliè rode” subire gli sfottò dei colleghi e degli amici. Ma abbiamo obiettivi ben più importanti da realizzare e ci stiamo giocando la stagione potenzialmente più indimenticabile della storia della Juventus.

A tale proposito, ricordo ancora una volta alcuni dati, perché mi pare stiamo dando alcune cose troppo per scontate. Nei 120 anni di storia della Juventus FC, prima di Allegri, solamente due volte eravamo riusciti a fare il “double” (campionato e Coppa Italia): nel 1960 e nel 1995. Non ci riuscimmo il primo anno di Conte, non ci riuscimmo il primo anno del Lippi-bis, nè ci riuscimmo nel 1972-73 con Zoff ed Altafini. Perchè è maledettamente difficile, tanto è vero che in assoluto era riuscito 2 volte all’Inter (che in una di queste due stagioni riuscì come sappiamo a vincere anche la Champions), 1 volta al Torino, 1 alla Lazio, 1 al Napoli. Allegri ci è riuscito in entrambe le sue prime stagioni. E’ un qualcosa di storico. E ora ha la possibilità di fare il terzo double in tre stagioni di Juve: in tre anni ha la possibilità di fare più double di qualsiasi altra squadra italiana nella sua intera storia. Non diamolo per scontato: altre volte abbiamo avuto una Juve dominante, eppure non è che facessimo doppiette ogni stagione, anzi. Non solo. Abbiamo, come sapete, la possibilità di fare ancora meglio. Il “triplete”, ormai così tristemente nominato, nella storia è riuscito soltanto 8 volte (una all’Inter, sì….), con la Juve che prima di Allegri non era mai nemmeno arrivata a giocarsi il terzo titolo, e con lui è alla seconda occasione (già di per se storica) in tre anni.

Se c’è una cosa che Allegri ha dimostrato di saper fare meglio di me, voi e chiunque altro allenatore nella storia della Juventus, è gestire le risorse e la squadra per arrivare in fondo ovunque: diamogli la possibilità di farlo come meglio crede, con le scelte che ritiene più opportune, anche facendo tesoro di eventuali errori, ma concedendo a lui e a questo gruppo un po’ più di credito.

Antonio Corsa

Serie A, 36a giornata: Roma-Juventus 3-1

di Davide Terruzzi


La Juventus si spegne sul più bello e si fa rimontare della Roma. Una prestazione figlia delle attenzioni rivolte alle prossime sfide che possono regalare i titoli.


Massimiliano Allegri lo aveva detto in conferenza. È ancora il periodo del turnover in cui si continua a cambiare almeno 5-6 giocatori a partita per gestire le risorse e i minutaggi. Quello con la Roma è per la sua Juventus il primo match point scudetto con la possibilità di centrare il sesto campionato; per la formazione di Spalletti, invece, dopo la sconfitta col derby e la vittoria col Milan, è fondamentale raggiungere i tre punti per tenere dietro il Napoli, vincitore a Torino, e aumentare notevolmente le possibilità di arrivare secondi. Allegri quindi cambia radicalmente la sua squadra optando per una rotazione decisa e un cambio di modulo: nel 4-3-3 schierato per l’occasione, davanti a Buffon ci sono Lichtsteiner, Benatia, Bonucci e Asamoah; in mediana Pjanić al centro con Lemina alla sua destra e Sturaro sul lato opposto; davanti Higuain con Cuadrado e Mandžukić. Spalletti, come noto, non può schierare la formazione tipo: senza l’infortunato Džeko e lo squalificato Strootman, le scelte sono di fatte costrette. La Roma è schierata con un 4-2-3-1 di partenza con Rüdiger, Manolas ,Fazio ed Emerson a comporre il pacchetto difensivo; Paredes e De Rossi a centrocampo; El Shaarawy, Nainggolan e Salah dietro alla “falsa” punta Perotti.

I primi minuti indicano la volontà da parte dell’allenatore giallorosso di sabotare la costruzione bassa della Juventus. Il pressing alto della Roma studiato per l’occasione prevede un sistema di marcature a uomo in cui un solo giocatore viene lasciato libero; Benatia non viene quasi mai pressato ed è teoricamente libero di portare su la palla. La difesa a quattro bianconera viene quindi affrontato lasciando il peso dell’impostazione all’ex difensore romanista, mentre Bonucci è preso da Perotti e i due terzini dagli esterni alti. In mediana si affrontano due centrocampi schierati con triangoli opposti: il vertice basso bianconero viene così preso da Nainggolan, mentre i due mediani s’alzano sugli interni. Il pressing della Roma viene agevolato dai problemi nella costruzione di un continuo e credibile gioco interno da parte della Juventus: la coppia Sturaro e Lemina non ha brillato per capacità tattiche e tecniche, così come Pjanić nel ruolo di unico regista basso ha manifestato difficoltà già annotate quando è stato schierato in quella posizione. I due interni hanno contribuito poco alla costruzione bassa e non sono riusciti con frequenza a trovare la giusta sistemazione alle spalle o ai fianchi dei centrocampisti avversari; quando hanno creato linee di passaggio, liberando anche quella in verticale per Higuain, chiamato anche a essere l’unico raccordo sulla trequarti, la Juventus si è resa pericolosa come in occasione del gol. Per la formazione d’Allegri risalire il campo è diventato quindi più complicato del solito: senza le qualità tecniche di Dybala e Dani Alves, nel consueto pacchetto di soluzioni anti pressing restavano le giocate per Mandžukić generalmente ben controllate da Rüdiger.

La Roma, in assenza del proprio centravanti, ha manifestato difficoltà offensive nell’attaccare la squadra avversaria quando schierata nella propria metà campo. La Juve si è difesa con 4-5-1 basso che lasciava poco spazio ai tagli in profondità di Salah; la squadra d’Allegri, nel primo tempo, non si è fatta trovare lunga o sfilacciata, rinunciando anche al pressing ultra offensivo se non in qualche occasione quando Lemina o Sturaro s’alzavano sul difensore centrale di riferimento lavorando anche sulla linea di passaggio per il mediano. Spalletti, in fase di possesso, ha spesso sovraccaricato il lato di sinistra con il triangolo Emerson-El Shaarawy-Perotti che si formava naturalmente grazie al movimento sull’esterno e contemporaneo abbassamento da parte dell’argentino. Nelle intenzioni del tecnico romanista si sarebbero dovuto aprire sia lo spazio per gli inserimenti centrali di Nainggolan che per i tagli di Salah, ma nel primo tempo la Juventus è riuscita a leggere questa situazione senza problemi. Il pareggio di De Rossi nasce dal pressing alto romanista che porta alla conquista del corner sul quale Manolas viene lasciato libero di colpire.

Nel secondo tempo le formazioni si ripresentano in campo senza alcun cambio. La partita riprende sul segno dell’equilibrio come nella prima frazione di gioco; al 56′ arriva il gol di El Shaarawy che porta in vantaggio la Roma. I giallorossi sfruttano una situazione nella quale la Juve si fa trovare aperta e impreparata: la conclusione dell’attaccante esterno viene poi leggermente deviata e sorprende Buffon. La reazione bianconera di fatto non esiste: la Roma non dilaga, ma sfrutta al meglio le occasioni che le capitano. Come in occasione del terzo gol segnato da Nainggolan: troppo facilmente il centrocampista belga può entrare nel cuore dell’area con un semplice uno-due con Salah. Di fatto la partita finisce qui: Allegri prova a rovesciare la situazione aumentando la qualità in campo (grazie agli ingressi di Dani Alves, Dybala e Marchisio), ma pur con qualche patema d’animo la Roma riesce a raggiungere una vittoria fondamentale.

Roma-Juventus non è stata una partita spettacolare o particolarmente interessante dal punto di vista tattico e tecnico. È stata una gara equilibrata in cui i bianconeri hanno pagato giustamente gli errori e le disattenzioni dei primi quindici minuti della ripresa; ha vinto così la squadra che ha voluto con maggiore determinazione la vittoria. Allegri ha fatto una scelta, sperando di raggiungere almeno un pari, privilegiando la Finale di Coppa Italia con la Lazio sapendo di poter contare su altri due match point. Assai improbabile che la Juventus non riesca a vincere domenica in casa col Crotone; per la Roma, invece, continua la corsa per il secondo posto, vitale per pianificare al meglio la prossima sessione di mercato. Le riserve d’Allegri hanno permesso vittorie fondamentali con squadre medio-piccole mentre incontrano maggiori difficoltà con squadre di livello superiore, ma individuare solamente in chi gioca di meno i responsabili di questa sconfitta, indolore si spera, è scorretto. La Juventus ci ricorda che arrivare in fondo nelle tre competizioni è davvero impegnativo; arrivarci vivi e in salute è merito anche della gestione delle partite e delle risorse.