Cosa penso delle frasi di Buffon, spiegato bene

Caro Massimo, ti ho sempre letto e ho condiviso con orgoglio la tua battaglia sulla nostra “diversità” rispetto agli altri, per questo mi hanno fatto male le dichiarazioni dell’altro giorno dopo la partita. Mi piacerebbe che Buffon si scusasse o spiegasse bene le sue parole, perché è più importante non perdere le peculiarità che ci caratterizzano da sempre piuttosto che passare un quarto di finale di Champions. In ogni caso, credo che tu, che hai sempre fatto di questo tema uno dei tuoi cavalli di battaglia, dovresti dire la tua in modo chiaro su quanto accaduto. Ciao e forza Juve!

Riccardo Molesti

Approfitto di questa domanda di Riccardo per rispondere a lui e agli altri che mi hanno posto più o meno la medesima questione. Lo hanno fatto tifosi juventini e tifosi avversari che mi rinfacciano il contrasto tra la mia inflessibilità con le lamentele delle rivali e il mio silenzio di questi giorni su questo tema. A essere sincero, non mi dispiace affatto essere considerato un “alfiere” della battaglia contro le polemiche arbitrali, ma questo impone di rispondere con accuratezza.

Brevissima premessa: mi occuperò della parole che più hanno fatto discutere, quelle di Buffon.
Agnelli, infatti, ha fatto un discorso da “politico”: per lui Collina, per mantenere quel ruolo di potere, tiene molto a non dare l’impressione di poter favorire le italiane. A Madrid, in uno stadio non proprio facile, ha mandato un arbitro inesperto a certi livelli. Soprattutto, come sempre, mostra di avere una “vision” anche in un momento così caldo: non si ferma alla Juve, anzi tralascia la Juve di Londra (cui viene negato un rigore incredibile e a momenti Kane pareggia un metro in fuorigioco) e cita gli errori che hanno danneggiato Roma, Lazio e Milan. Ha parole di apprezzamento per il Real, giustifica Ramos posizionato dove non potrebbe dicendo che è una questione risibile, chiude con l’in bocca alle italiane che a lui, l’in bocca al lupo, non lo hanno fatto mai.

Parliamo soprattutto del capitano, dunque.

Per essere più schematico, suddividerò le argomentazioni per punti, in quanto le domande sono tante, credo: tu lo avresti fatto? Ora che faresti? Quindi siamo uguali agli altri, quando le avversità capitano a noi? E così via.

1) Risposta generale: a mio parere sarebbe conveniente, a fine partita, non soffermarsi mai troppo sulle decisioni arbitrali.
Per tanti motivi: perché spesso sono controverse, perché la volta dopo un episodio capiterà a te al contrario, perché non ci si può fare niente, mentre si può pensare a come migliorarsi, quello dipende da te e allora ha senso soffermarcisi. Su questo punto, va evidenziato che la Juventus è considerata da diversi suoi tifosi fin troppo silente, incapace di reagire e di “farsi rispettare”, in un contesto in cui qualunque rivale, dal Benevento ultimo in classifica al Napoli protagonista del testa a testa per il titolo, polemizza su temi di ogni tipo, spesso decisamente risibili. Personalmente invece, proprio per quanto detto poco sopra, apprezzo molto la linea assunta praticamente sempre dalla nostra società.

2) In questo caso, dunque, la risposta è semplice: per il mio modo di vedere le cose, alcune parole di Buffon al Bernabeu sono eccessive, certi termini impropri e soprattutto deviano l’attenzione su altro rispetto alla prestazione meravigliosa della squadra, che ha compiuto un’impresa mai vista in quello stadio.
Ovviamente, con questo sono ben lontano dal giudicarlo.
E’ un professionista incredibile, che, in oltre 20 anni di carriera, ha sempre riconosciuto i meriti degli avversari, non li ha mai delegittimati e non è mai stato espulso per proteste; gli accade, dopo un rigore decisivo all’ultimo secondo, nell’ultima partita della sua carriera europea, dopo un match leggendario. Davvero lungi da me pontificare come fanno in tanti, arrivando perfino a citare la guerra in Siria pur di bacchettare dall’alto della propria supposta purezza. Bene fa, in questo senso, Allegri a parlare di corso di psicologia necessario per chi, non avendo mai giocato neanche a bocce, pontifica con sicumera sulle parole a caldo di un super campione dopo una partita del genere.
Semplicemente, da casa, comodamente seduto sul divano, avrei preferito che non le dicesse.

3) Proprio per la leggenda che è, e per spiegare l’eccezionalità della situazione che lo ha portato a fare dichiarazioni con toni ben diversi dal solito, mi piacerebbe che si spiegasse. Con l’unico obiettivo di puntualizzare meglio il proprio pensiero, che ovviamente va molto oltre i meme sul bidone della spazzatura, le patatine e la sensibilità, e riguarda la sua amarezza per quel finale di partita (e di carriera europea), gestito da un arbitro per lui senza la giusta personalità. Sono convinto che intendesse dire solo questo, amareggiato per il rigore ma ancora più per il rosso che riteneva di non meritare, tanto che è stato il primo ad abbracciare in modo affettuoso Ronaldo e gli avversari, non negandone mai i meriti.

4) Allora, mi si porrebbe certamente come obiezione, quando hanno protestato in modo eccessivo Simoni, Totti, Garcia, Galliani o il Napoli di Pechino, potrebbero essere stati “alterati” anche loro oppure vale solo per gli juventini?

E’ qui il punto chiave di tutte le mie argomentazioni da quando scrivo di questo tema (praticamente da sempre): per me in un mondo ideale sarebbe meglio non rilasciare dichiarazioni furenti a caldo, ma ciò che è davvero imperdonabile, ciò che ti rende un complottista, è farle (e reiterarle) a freddo. Per di più delegittimando gli avversari.

Buffon, intanto, come detto, non delegittima affatto i rivali, abbracciati a fine partita; per il resto, commenta ancora emozionato quell’incredibile finale di partita. Così, pur se con toni piuttosto misurati, hanno fatto Bettega o Marotta dopo esperienze poco fortunate contro due squadre tedesche.

Così (si fa per dire) fa Simoni quando entra in campo come un matto, Galliani nero a fine primo tempo dopo il gol di Muntari o il Napoli che non si presenta alla presentazione di Pechino. Episodi certamente spiacevoli, decisamente poco sportivi.

Ciò di cui parlo da sempre io, però, è soprattutto altro.

Se il mio nick storico è “Er go’ de Turone” non è certo per deridere la rabbia a caldo o gli eleganti scambi tra Viola e Boniperti dei giorni seguenti, bensì per ridere di chi, a cinque, dieci, venti o quarant’anni di distanza da un episodio si accanisce proponendo telebeam, movioloni, interpretazioni storiche e interviste a ogni anniversario.
Così per Simoni & co: accettiamo pure quell’invasione con tutta la panchina (mai vista in vita mia, ma va beh), ma si può andare avanti ogni anno con dieci interviste in cui spieghi che quell’episodio ti ha cambiato la vita? E’ possibile celebrarne il ventennale, come fosse un trofeo?
Galliani non era nero solo quel giorno, nell’intervallo, ma alcuni mesi dopo mostrava fiero il suo cellulare con “il gol di Muntari” come screen saver. Ne hanno parlato per mesi, è diventato l’unico episodio rilevante di un campionato perso quando ancora dopo diverse settimane erano comodamente in vantaggio.
Così per il Napoli di Pechino (due anni e mezzo dopo De Laurentiis ammise di avere sbagliato con l’assenza alla premiazione ma confermò “le sensazioni spiacevoli” di quella sera), la Roma di Garcia e Totti (dichiarazioni la sera stessa, tweet del tecnico il mattino dopo sulla partita che non fa bene al campionato, intervista a De Sanctis dieci giorni dopo in cui ironizza sulla Juve che stranamente va bene solo in Italia e così via).

E’ questo che avvelena il clima, l’eterno sospetto ribadito velenosamente per decenni.

Allora, se tra una settimana a freddo rincareremo la dose, se tra tre mesi Buffon avrà quel rigore come screen del cellulare, se tra vent’anni celebreremo l’anniversario del fischio di tale Oliver, avremo perso. Ci saremo comportati come gli altri su cui ironizzo da sempre.

Se invece, come certamente accadrà, già dal giorno dopo la Juve, pur amareggiata e convinta di avere subito un’ingiustizia (ma senza disconoscere affatto i meriti dei rivali), pur continuando le proprie “battaglie” politiche, avrà ripreso a pensare dove abbiamo sbagliato, dove siamo stati fantastici e dove possiamo migliorarci, avremo detto qualche frase di troppo per una sera, ma saremo rimasti come siamo sempre stati. Già oggi, nella prima conferenza stampa, Allegri ha fatto capire quale sarà sempre la nostra strada.

5) Quindi, in conclusione, dipende di cosa parliamo: se noi, che adoriamo e adoreremo sempre Buffon e non siamo mai stati complottisti in vita nostra, “riprendiamo” anche il nostro capitano per le espressioni eccessive di una sera (pur comprendendone perfettamente la rabbia e l’emozione), è un conto.

Se ci riferiamo invece alle onnipresenti lezioni morali di chi ha seminato veleni per 40 anni, sulle pagine dei propri giornali o fomentando i propri tifosi con continue dichiarazioni tese a delegittimare chi vince (cosa che il portierone, neanche dopo un finale del genere, ha mai fatto), per carità.
Buffon non li legga neanche, non meritano nemmeno un secondo del suo tempo.

Il Maestro Massimo Zampini

Alle ingiustizie si resiste

Ci sarà tempo per le analisi, i rimpianti (personalmente non ne ho su questo doppio confronto e/o sul suo esito, ma sul fatto che abbiamo dimostrato troppo tardi quello che avremmo potuto essere in questa stagione e non siamo stati per paure che non avevano senso di esistere), le recriminazioni sugli episodi e sui due cambi non sfruttati, gli elogi, meritati, all’allenatore e ai giocatori per il tipo di partita che hanno interpretato (e non era scontato che accadesse, dopo il risultato dell’andata e con l’urgenza di un campionato che incombe), le valutazioni su ciò che questa gara deve significare nella prossima (ri)costruzione di questa squadra dal punto di vista tecnico e mentale.

Ci sarà tempo, appunto. Un tempo che non è questo, un tempo non per forza misurabile in ore, giorni, settimane, mesi. Esattamente come nell’immediato post gara di Monaco di Baviera. Riferimento non puramente casuale, in considerazione delle affinità tra la serata del Bernabeu e quella dell’Allianz Arena: nel risultato, certo, ma anche in un post partita che avrebbe potuto e dovuto costituire la reale unità di misura della distanza che c’è con il resto dell’Italia calcistica e che invece si è trasformato in un formidabile assist mediatico per dare spazio alle lezioni di etica e morale di chi, giornalisti, tifosi, giornalisti-tifosi, lezioni di etica e morale proprio non potrebbe darne. E se allora era stato Beppe Marotta ad esprimersi magari a ragione nel merito ma assolutamente a torto nei modi, nei toni e nei tempi, stavolta è stato Gianluigi Buffon a rendersi protagonista di un autogol comunicativo (nel suo caso, l’ennesimo degli ultimi mesi) francamente evitabile.

Gianluigi, non Gigi. Perché Gigi è l’uomo, probabilmente anche il tifoso, che, sulla scorta di un’emotività che si sta accentuando sempre più con l’avvicinarsi del passo d’addio, si fa espellere nel finale di una partita fino a quel momento perfetta e non riesce proprio ad accettare una decisione arbitrale che segna ancora una volta la distanza tra ciò che è giusto e ciò che non lo è. Ci sta, è umano, è comprensibile, è sdoganabile. Sul momento, però. Perché poi, dopo, quando ti presenti davanti alle telecamere, devi essere Gianluigi: un capitano di 40 anni, il leader (troppo) emotivo di un gruppo che ha dimostrato di andare al ritmo delle tue sensazioni e dei tuoi pensieri, uno che quando parla dovrebbe pesare ogni singola sillaba perché quello che dice lui conta e vale sempre un po’ di più, il più lucido, il più freddo. Purtroppo ieri Buffon è stato Gigi prima e dopo, rendendoci di fatto uguali agli altri e mettendoci su un livello comunicativo e valoriale che non dovrebbe proprio appartenerci. Soprattutto se, prima e dopo, ci riempiamo la bocca di concetti che sono all’opposto della sensibilità che, per il fu numero uno dei numeri 1, dovrebbe appartenere ad un arbitro nell’esercizio delle sue funzioni. Un arbitro non deve essere sensibile, deve essere giusto e fischiare quello che vede. Oliver ha visto un rigore che, regolamento alla mano, può essere dato e ha fischiato: ci sta protestare, ci sta anche sbracare parzialmente come ha fatto Chiellini, ma deve finire lì, deve restare lì, sul campo, magari anche negli spogliatoi, ma non oltre. Perché, credetemi, il disagio che si può provare sentendo certe cose può essere perfino superiore alla grande delusione per il risultato finale. Non è facile, certo, perché sono uomini anche loro, e nel caso di Buffon c’è la non trascurabile attenuante dell’ultima rincorsa Champions che sfuma nel modo più crudele possibile dopo una carriera inimitabile. Ma se, spesso, lui e gli altri sono stati più uomini di tanti e di tutti, l’altra sera è stata persa l’occasione per ribadirlo nuovamente e con molta più forza.

Per questo ho apprezzato, come una salutare boccata d’aria fresca, la signorilità di Allegri, il messaggio social di Douglas Costa, persino il politichese (con qualche punta di populismo) con cui Andrea Agnelli ha richiesto l’introduzione del Var, mettendo contestualmente Collina di fronte alle sue responsabilità (e sono tante e non necessariamente legate a questa partita) e augurando il meglio a Roma e Lazio per il prosieguo del loro cammino: così si fa, così si parla, così ci si comporta, così si è Juve in campo e fuori. In attesa che venga il tempo in cui questi 180′ possano essere analizzati nella loro interezza, pesando rimpianti, responsabilità e insegnamenti da trarre. Proprio come a Monaco.

p.s. Alle ingiustizie si resiste. Traendone la giusta carica per il finale di stagione. Come abbiamo già fatto. Come dovremmo fare anche questa volta. Come sono sicuro che faremo;

p.p.s. Riportate a casa Arturo Vidal;

p.p.p.s. C’era solo un modo per poter fare peggio: è stato trovato ricoprendo di insulti Alessandro Del Piero.

Claudio Pellecchia.

L’Ultimo Viaggio di SuperGigi – Umano, troppo umano

Non ho aperto subito gli occhi.

C’è stato un lungo momento in cui non ho avuto nemmeno coscienza di essere chi sono. Un uomo disteso su un letto, a fissare il soffitto. Ho sentito solo pian piano un formicolio di risveglio che passava dalle dita delle mani al palmo, al polso, al braccio.

Nel frattempo guardavo il bianco panna del mio soffitto e immaginavo di essere, anzi, ERO qualcosa di diverso da me, un tronco spezzato, inghiottito e risputato su da una burrasca oceanica. Un pezzo di legno di una nave squarciata, senz’anima, senza forza, portato alla deriva dallo spumeggiare delle onde.

Che cosa ho fatto? Che cosa ho detto?
Perché l’ho fatto? Perché l’ho detto?

Quando il mio vagolare senza coscienza disteso sul letto ha finito per stufarmi sono ridiventato me stesso.

Mi sono alzato e ho avuto la forza di leggere qualcosa -articoli, messaggi, commenti-, rivedere video e servizi su Madrid. Sono passati due giorni e sento l’adrenalina finalmente scorrermi via, come tossine lente da smaltire.

La distorsione della coscienza che sperimento sempre nel rivedermi in campo, alterato in balli di esultanze e pugni di vittoria al cielo o in proteste e borbottii amari per un gol preso, stavolta è talmente devastante da andare oltre e assestarmi un destro allo stomaco e al volto in rapida sequenza: io che danzo allo 0-3, io che investo di rabbia quel ragazzino slavato.

Di solito le immagini post-gara, il riflesso di me stesso in TV davanti ad un microfono, mi solleticano un certo orgoglio; mi trovo goffo e ho un vocione e un tono che non mi piace sempre, ma alla fine non sono male, il Gigi Buffon non banale, saggio, papà e fratello maggiore, un po’ populista ma apprezzato e rispettato.

Ora è tutto diverso. Mi riguardo, sono livido e livoroso. Mi risento, sono ridondante e spietato.

Da portiere, da calciatore, mi sono spesso sentito intrappolato in un parco di divertimenti sotto gli occhi del mondo. Sempre gli stessi gesti, la ciclica reiterazione dei movimenti, gli stessi 90 minuti. Le dinamiche all’interno di una gara le ho vissute tutte, ad ogni gol subito o sventato, so già come andrà avanti la gara, i miei occhi hanno visto davanti a me sull’erba qualsiasi combinazione di risultati, ogni concatenazione di eventi possibili, di traccia narrativa dipanata.

A Madrid è successo qualcosa di non previsto, non codificabile. Prima e dopo. Nemmeno da un vecchio, il più vecchio degli eroi del parco del divertimento, come me.

Da portiere, da calciatore, ho capito fin da subito che gli errori sono il primo passo verso la coscienza, come puoi imparare se non sbagli? Ci sono vari strati della costruzione di sé stessi, c’è la tecnica, c’è l’emozione, c’è la fame, c’è la capacità di improvvisare e reagire in ogni situazione, c’è la voglia di andare oltre. E poi c’è la coscienza.

Quella che tarda ad arrivare quando non vuoi svegliarti e guardi il soffitto di casa tua da un letto. Due giorni dopo Madrid.

E’ un labirinto di errori, un percorso che porta ad avere piena coscienza della propria umanità, della propria forza. Un percorso che porta a me.

In questo mondo, molti scelgono di vedere la bruttezza, i veleni, le polemiche, io ho scelto fin da subito di vederne la bellezza. Ma la bellezza è un’esca, ti intrappola.

Ho vissuto 20 anni in questo giardino incantato di bellezza accecante. Un mondo virtuale con un ordine preciso, e uno scopo brutale: incatenarti, tenerti qui, l’incantevole trappola dentro di te. Noi siamo questo mondo. Se ne esce solo in modo violento, con uno strappo dentro.

20 anni di carriera in un fischio.

Non ho mai avuto davanti una squadra capace di ribaltare un risultato così pesante contro una squadra così forte in uno stadio così potente. Non ho mai avuto la sensazione di essere vicino al centro di quel labirinto, di esserci arrivato, proprio nel mio ultimo giro, proprio al mio ultimo viaggio.

Dopo le gioie più immense, dopo il tetto del mondo, dopo le umiliazioni più estreme ed il ritorno ancora alla vittoria, ho scelto di andare avanti, di proseguire, ho gioito ancora e ancora, ma ho anche perso pezzi di me, finali, tante finali perse. E istanti, respiri e battiti, gli ultimi, di imprese sfiorate e poi inutili.

E quel fischio, quell’istante, me lo porterò dentro. E’ il momento dello strappo, della separazione tre il ME eroe di questo mondo incantato e pre-ordinato e il ME che verrà dopo, quello che si troverà di fronte un orizzonte infinito di scelte da fare, un mondo non incantato e non pre-fabbricato.

Approderò in un nuovo continente dopo una traversata lunghissima, scenderò le scalette e toccherò il suolo del nuovo mondo e sarò atterrito dalla vastità delle scelte da fare, molte più di quelle che ti possono capitare in campo –vai basso, spingi sulle ginocchia, esci, resta fermo-.

Ecco perché quel fischio mi ha scaraventato in una realtà diversa dalla mia. Risucchiato l’anima. E quel rosso!

Cancellare così 20 anni e l’impresa più eroica di sempre, quella che ci portava più vicini che mai alla Coppa che mi manca, molto più di una finale, molto di più! Il fischio incerto di un ragazzo che nega a me, a noi, a tutti, che la più incredibile gara di calcio vada avanti, decisa dal gioco, dallo sport, da muove regole di questo mondo incantato.

Dopo cosa ho detto? Perché l’ho detto? Lo rifarei, forse in modo diverso. Ci penserò poi. Ora ho da fare bel altro.

Ricucirò lo strappo di quel fischio e ritornerò da eroe nel mio mondo incantato a lottare fino alla fine, per le ultime vittorie e gioie. Quello che so fare. L’ultima traversata prima di scendere dalla scaletta.

Queste gioie violente hanno fini violente.

Mi sono sempre piaciute le storie. Perché ogni storia, ogni narrazione, nobilitata dalle bugie del racconto, cela in sé verità profonde. Qualcuno racconterà la mia storia, infarcita dalle bugie di un portiere, un campione, un super-eroe invincibile, generoso e perfetto. E che, nel cuore del labirinto, nel centro esatto della sua coscienza, ha riscoperto e rivelato al mondo la sua verità profonda: è umano, troppo umano!
Mi rattrista pensare che sia la mia ultima storia. Mi piace pensare che quando Beethoven, Mozart o Chopin hanno smesso di suonare sono solo diventati musica.

Quando smetterò di giocare, una parte eterna di me diventerà solo Parate e Vittorie. L’altra sarà libera di essere imperfetta e umana, come dopo quel fischio.