Cristiano e Pep, X-Men per mutare il DNA Juventus

Che il prossimo allenatore sia uno tra Pep e Klopp o uno tra Maurizio e Mauricio, è innegabile che la scelta in ogni caso porterà ad una rivoluzione, uno shock culturale, un cambio di marcia rispetto ai discorsi, banali quanto si vuole, sul DNA Juve e sull’anteporre la vittoria alle modalità per perseguirla.

Dopo 5 anni di Allegrismo, con pragmatica e minimalista attenzione al risultato prima ancora che alla qualità e all’identità di gioco, (anche l’ultimo periodo di Conte vide una parziale involuzione tesa a massimizzare il profitto sul campo), scegliere uno tra i primi 4 allenatori di Premier significherebbe una sola cosa: La Juve vuole (continuare a) vincere, ma attraverso un’identità definita e riconoscibile, senza compromessi, scaltrezze, ripensamenti, ibridi, camaleonti, espedienti e scorciatoie.

Vincere NON è più l’unica cosa che conta.

La società ci crede fortemente, l’ambiente è in ansia ma gasato. Dopo anni di successi indiscutibili ma poco goduti per la consapevolezza di non aver badato a costruire e a valorizzare al massimo le qualità della rosa. La domanda che serpeggia, in questa attesa trepidante e ansiogena (Guardiola sarebbe un conto, Sarri ben altro, per capacità, spessore, carisma, ambientali ed extra-campo) è:

il tifo è davvero pronto per esaltarsi, per una volta, più per il Gioco che per la mera Vittoria?

“Voglio vincere. L’espressione “bel gioco” non la uso mai. Voglio vincere e per la mia esperienza, il modo migliore per farlo o che può portarci più vicini è il modo in cui giochiamo”. (P. Guardiola).

I giocatori vincono, gli allenatori elaborano una ricerca della vittoria. Per 5 anni Allegri lo ha fatto senza un piano granitico, ma adattando, ricucendo, variando e speculando sulla propria superiorità.

Guardiola o Klopp, Poch, Sarri hanno un diverso modo di “adattare” i loro principi alla rosa: agendo sui propri spartiti e meno su quelli del rivale, offrendo ai loro giocatori un ventaglio di soluzioni più che un piano di battaglia entro il quale far valere le proprie doti. Guardiola in particolare migliora i giocatori agganciandoli allo sviluppo del gioco e ha accantonato giocatori dall’unicità ben definita e poco malleabile, come Yaya Touré, Ibrahimovic, Mandzukic.

Guardiola ed Allegri vogliono protagonisti pensanti in grado di esecuzioni tecniche superiori, ma Allegri delega al gesto tecnico la chiave per l’efficacia, mentre Guardiola pretende che i protagonisti agiscano su un piano infinito di sviluppi di gioco con una costante: dominio di gara e palla.

La Juve si trova, di nuovo, dopo 12 mesi a fare la sua storia di fatto strappandola: prima si è affidata al giocatore più decisivo e vincente della storia recente, Cristiano, mai fatto in passato, quando le stelle Juve hanno imparato il sapore e il concetto di vittoria proprio alla Juve. Quella scelta però era in linea con una tradizione di magnifici giocatori al centro di progetti di calcio costruiti su di loro (Trap, Lippi, Capello, Allegri). Ora la Juve è sul punto di riscrivere ancora la sua traiettoria, evolvere il suo DNA scegliendo un allenatore che usa i giocatori per esaltare il progetto tattico.

Siamo pronti, dopo decenni, ad avere non più solo uno o più top player, ma la forza di un gioco che sia superiore rispetto alla somma delle singole identità? Siamo disposti a crederci fino in fondo, anche in caso di (improbabili) risultati meno brillanti, almeno all’inizio?

E’ il momento migliore: la forza della Juve sul versante interno è tale (anche contro un rivale come Conte) da potersi permettere una metamorfosi quasi pedagogica; l’ossessione per la vittoria Europea è tale da consentire all’ambiente un cambio di rotta nella strategia per conseguirla.

L’ambiente è pronto, anche perché sarebbe davvero logorante continuare a sentirsi delusi per stagioni con un trionfo in Italia e quarti di finali in UCL senza avere almeno l’ancora di salvataggio di un mutamento, un evoluzione, del nostro DNA. Prima Cristiano poi (magari) Pep, come i due X-Men in grado di alterare un DNA vincente per oltre un secolo, e portarlo ad una nuova dimensione della vittoria.

Sandro Scarpa.

I livelli altissimi dell’affare Juve-Guardiola

Per credere a Pep Guardiola in qualità di allenatore, manager e vate dell’imminente e prossimo ciclo Juventus non è sufficiente un atto di fede. A chi approccia la notizia servono sostanza, riferimenti, contro riferimenti, deduzioni, verifiche incrociate e una consapevolezza: il momento della firma del contratto definitivo (o del banco che salta per aria) si può accettare, accidentalmente, di conoscerlo postumo. D’altronde, la pretesa soggettiva non può andar oltre quella di raccontare una serie di fatti – riportabili o meno – che messi insieme diventano notizia rilevante, solida, idealmente completa: l’allenatore più famoso del mondo in bianconero sarebbe ormai questione di minuzie.

Da dove partire? Dalla fine: il contratto preliminare depositato in luoghi di fiducia non soltanto esiste, ma è proprio stato siglato a inizio primavera da Josep Guardiola. Per il passaggio successivo è servito lavorare con i guanti, perché le cose possono trasformarsi senza che in questo mestiere si abbiano sempre occhi per vedere o orecchie per ascoltare. E quando a riscontri aggiungi riscontri, il rischio da evitare è quello di fare unicamente mucchio.

Con tutto che da queste parti si cerca sempre di stare dalla parte della ragione, in questo caso ci si trova a dover agire diversamente se ci si permette (sempre chinandosi al cospetto di ciò che di stupefacente Andrea Agnelli & Management stanno anno dopo anno cercando di mettere in piedi) di poter riferire che Pep Guardiola is the man. La Juve lo ha scelto e lui ha scelto la Juve. Si sono scelti attraverso volontà ferree, mettendo sul terreno di un accordo monstre tutti i rispettivi know-how. I fatti che stringono intorno al Manchester City e al suo operato possono evidentemente essere – a tutti gli effetti – la leva finale, anche perché risalenti in tutta la loro gravità già al periodo delle gestioni di Roberto Mancini e Manuel Pellegrini.

Siamo a livelli altissimi, giornalisticamente parlando. Livelli che passano ampiamente sopra le nostre teste di cronisti e commentatori, così come anni luce sopra quelle dei blogger più illuminati e degli insider (specifichiamo: l’insider è colui che riceve dritto per dritto info da un referente di un club direttamente coinvolto nelle vicende che intende – chissà poi perché – riferire a terzi). Livelli che coinvolgono zero intermediari, più d’uno studio legale, consulenti di parte per il presente e per il futuro e ancora forse non basta.

Ben diverso è il livello dal quale esce il robusto nome di Maurizio Sarri, allenatore apprezzato in tempi non sospetti sia da Pavel Nedved che da Fabio Paratici. Siamo però nel canonico, nel paraufficiale, per ciò che rappresenta nel nostro mestiere. Un canonico che gradualmente converge senza se e senza ma all’apparenza, dal quale sono costretto a tenermi a distanza dal momento che il disegno concreto della Juventus è ancora altrove. Le ultime energie sono altrove. La scintilla è altrove. E se non può essere Guardiola, il prossimo allenatore della Juventus non può che essere Guardiola. Per dettagli e pieghe (ci sarà un tempo, comunque vada, per aggiornarsi sui particolari) è corretto aspettare l’ultimo atto. Se così non sarà, è perché qualcosa è andato storto, e non ne siamo a conoscenza, nella strana e epica battaglia tra Juventus (o Guardiola?) e Manchester City.

Luca Momblano.

Corto Muso 4 – Everybody lies

In attesa che la Juventus si decida finalmente a comunicare il nome del nuovo allenatore, la querelle del momento pare essere la polemica scatenata dal solito Fabio Caressa, sulla “serietà” del giornalismo istituzionale in opposizione ai “guru del web”. Credo che la mia opinione su Caressa sia nota: a me pare il classico esempio di persona promossa al di là delle sue competenze ed è pure di una pesantezza (che a volte sconfina nella volgarità) abbastanza intollerabile. Ma non è questo il problema, perché le opinioni di Caressa sono largamente condivise nel mondo dei media istituzionali; e qualsiasi giornalista ti dirà più o meno le stesse cose, sia pure con modi molto più urbani e civili di quelli usati da Caressa.

Ma i termini della polemica vanno chiariti; come ha giustamente fatto notare Antonio Corsa la polemica non è tra i giornalisti “veri” e i “guru fai da te” che allignano sul web. Quelli hanno le loro groupies disposte a giurare che son la bocca della verità ma sono essenzialmente degli innocui venditori di sogni che non presentano alcun pericolo. La polemica invece è tra giornalisti che hanno accesso alle cosiddette “fonti istituzionali” e quelli che invece non ce l’hanno. Un esempio tipico dei giornalisti del secondo tipo è il nostro amico Luca Fausto Momblano.

Una fonte istituzionale è semplicemente qualcuno all’interno della società che fornisce le notizie che la società intende far uscire. Di solito c’è una sorta di patto d’onore tra il giornalista e la fonte che si può riassumere così: “puoi anche tacere, ma se mi dici qualcosa non mi devi fare sbagliare”. Ovviamente neanche i media classici possono usare solo fonti istituzionali, altrimenti avrebbero 2-3 notizie l’anno da dare e invece devono uscire tutti i giorni. Ma il rapporto è questo; ed è esattamente la ragione per cui una smentita “non ufficiale” spesso vale di più delle dichiarazioni pubbliche. Perché nelle seconde una società può mentire o depistare per opportunità e convenienza, ma quando parla la fonte istituzionale si suppone che dica la verità. Non solo, ma quando una società parla attraverso la fonte istituzionale chi riceve la notizia non gli può andare contro; perché inevitabilmente perderebbe la fonte di cui ha assoluto bisogno.

Viceversa, chi non ha accesso alle fonti istituzionali deve lavorare in un altro modo e ovviamente il modo in cui lavora dipende dalla sua serietà e competenza. Perché ci sono anche fonti non istituzionali che però hanno il difetto opposto: parlano sempre ma non sai mai quando ti raccontano balle.

Per chiarire le cose: nell’ultima settimana tutte le fonti istituzionali della Juve hanno smentito qualsiasi possibilità di ingaggio del Pep Guardiola; e ovviamente tutti i media istituzionali si sono allineati. Va detto che Sky è particolarmente sensibile a questo; perché l’anno scorso con Ronaldo le fonti istituzionali mantennero un silenzio tombale e quindi a Sky furono costretti a fare di testa loro. Il buon Momblano invece ebbe il merito di cercarsi la notizia e la fortuna che in quel caso le sue fonti non gli raccontarono balle (come purtroppo avvenuto in altri casi); ovviamente su Sky sposarono la tesi meno rischiosa (“non ci risulta…”) e presero una tranvata di dimensioni epiche. Quindi quest’anno che hanno avuto l’imbeccata ci si attengono totalmente. Ora, le persone normali in una situazione del genere aspetterebbero semplicemente il 4 Giugno e stapperebbero champagne (se hanno avuto ragione) o farebbero damage control (se hanno avuto torto). Ma ovviamente il buon Caressa non è tipo da rinunciare ad una intemerata se ne ha l’occasione ed ha (scioccamente imho) alzato il livello dello scontro.

Concludo con un’osservazione: non vorrei aver dato l’impressione che ritenga che le fonti istituzionali dicano sempre la verità. Ho solo detto che una fonte istituzionale si aspetta che, se ti dà una notizia, tu ti comporti come fosse vangelo, altrimenti esci dal giro. Tutti mentono ovviamente, il problema è quanto, quando e come. Nella fattispecie trovo molto difficile (ma non impossibile) da credere che la Juventus abbia deliberatamente ingannato tutti i media istituzionali. Poi può darsi che invece il 4 Giugno il Pep arrivi a Torino (e noi tutti guarderemo il mondo bruciare col bicchiere in mano) ma in questo momento non è una cosa sulla quale scommetterei un penny.

Kantor.