DOPO Chievo-Juventus (0-4): cosa ci sta insegnando Allegri

La prima di un trittico di basso profilo, di quelli insignificanti per l’occhio che osserva il calendario, di quelli in cui si ritiene di dovere/potere tirare il fiato e coinvolgere la rosa, è andata così. Sulla falsariga di Udine e dell’andata di Coppa contro l’Inter. Perché c’è modo e modo per rispettare l’avversario, per non prenderlo sottogamba e anzi sotto la gamba metterlo, schiacciandolo senza farlo urlare. E’ un’arte che Allegri sta scoprendo e trasmettendo alla squadra, e viceversa che non c’è nulla di male, ed è un po’ come vivere l’adolescenza insieme, affrontare le cose nuove della vita, condividerle. Ci si esalta, ci si fa prendere la mano, si sentono vibrazioni nuove che danno anche senso di onnipotenza.

Lo 0-4 del Bentegodi è un nuovo step in questo senso, ovviamente non per il cablaggio dell’avversario e neppure perché si siano viste trasformazioni nel modo di essere squadra da parte della Juventus. Lo step riguarda la testa. La squadra pensa meno, vive su una consapevolezza che è anche curiosità di sondare i propri limiti il che “tecnicamente” significa dare finalmente ragione a un Allegri che su questo elemento scommise da primo momento dovendosi anche oggettivamente ravvedere contro le resistenze inconsce degli interpreti.

Per cui questa vittoria, antitetica per pensiero profondo prodotto dai rigori di un sistema di gioco considerato limitativo anche per l’espressione delle qualità più naif, è espressione tra le massime dell’Allegri-pensiero. Forse solo un filo inferiore a quelle (sempre in trasferta) ottenute l’anno passato, e guarda caso tutte nella seconda parte della stagione, a Roma in campionato contro la Lazio, in Coppa a Firenze in quel devastante ritorno, in Champions a Dortmund. Vale sempre tre punti, era scontata secondo molti, ma vale calcisticamente molto di più per l’affrancamento della squadra da antichi dogmi che solo il filosofo di quei dogmi sarebbe forse stato capace di mantenere vivi e credibili. Nonché banalmente come classifica e nuovo colpo basso, al fegato, preparatorio per eventuale sequenza combinata da kappaò. Consapevoli che non basteranno spensieratezza e numeri di alta scuole per fare 6 punti contro Genoa e Frosinone. E a quel che verrà dopo, ci si penserà dopo.

Prendiamo però atto di questo spuntino che è andato ancora una volta oltre ogni mia personale aspettativa. Ripeterò alla nausea che tutto mi aspettavo da questa stagione, convinto di avere in mano la rosa più forte e assortita dell’intero quinquennio, fatta eccezione la possibilità di un filotto di questa portata. Ragionavo su una rimonta a necessaria intermittenza, forte di avversarie che nel baratro nell’intermittenza prima o dopo avrebbero messo il piede. Meglio così, c’è sempre da imparare. Anche da un tecnico a tratti sfuggente e certamente scaltro. Quindi provo a rispondere infine a una banalissima domanda, stando proprio sulla superpartita vinta al Bentegodi.

Cosa ci sta insegnando Allegri? 

1 – Che l’equilibrio esterni/difesa viene prima di tante altre cose. Barzagli da zaino di Alex Sandro è il giusto bilanciamento se il terzo è Caceres che è più velocista ma occupa meno spazio tattico e gestisce diversamente le situazioni dove c’è da gestire attrazione/distanza dal pallone. Con Evra avrebbe magari giocato Cuadrado e Barzagli allora avrebbe giocato a destra. La suggestiva coppia Cuadrado-Sandro richiederebbe invece un lavoro diverso per gli intermedi. Ma di questi tempi trattenere Pogba e Khedira sarebbe sacrilegio.

2 – Proprio su Pogba. Allegri gli ha mollato per una volta la briglia, prima ancora da destra dove non deve spostare il pallone per cambiare passo e poi da falso mancino quando Khedira ha fatto vedere che non era in giornata per fare le stesse cose (ovvero abbassato nonostante un assist di quelli che riconciliano con il suo status di campione, non solo del mondo). Una concessione che Pogba si è conquistato proprio a partita in corso, fornendo le prove di una attenzione tecnica sulle giocate quasi senza precedenti. Paul ha una tremenda voglia repressa di andare ad agire sul fronte centrale, tant’è che neppure lo ammette di voler nella pratica occupare (dinamicamente, andando a prendersela e senza abusare in posizionamento) quella posizione da cui sparare le strabilianti cartucce che nessuno ha ancora potuto ammirare. Anzi sì, solo qualcuna, proprio a Verona. Palpitazioni al solo pensiero, vero? Allegri un pensiero ce lo farà. Non sarà per le grandi sfide magari. Sarebbe sufficiente per quasi tutto il resto (che non è poco in questa clamorosa rincorsa al quinti titolo consecutivo).

3 – Marchisio. Qualcosa Allegri gli sta insegnando. E il piccolo grande capolavoro è che l’allenatore non gli sta insegnando e chiedendo né di essere più Pirlo né più Van Bommel. Solo e soltanto più Marchisio. Per uno che ha dovuto credere anche a De Jong e Montolivo in quel ruolo, non c’è che di divertirsi a lavorare. Magari si diverte meno proprio Marchisio, egoisticamente parlando. Ma perché la squadra saltasse sul trampolino c’era bisogno come il pane di un metodista moderno, pazzescamente all’italiana, drammaticamente essenziale (al tiro ci va una volta ogni due partite, e di solito di sinistro, da fermo, da non meno di 25 metri), orgogliosamente faro per tutti. Allegri ne ha fatto un uomo di campo migliore. Senza più sparare gas all’impazzata a costo di correre a vuoto. Dovesse tornare un giorno a fare l’intermedio, lo farebbe comunque meglio di prima (e magari pure con gli stessi gol di prima).

Luca Momblano