Elogio della gufata (edizione 2018)

Gufare è una delle pratiche più divertenti del tifoso di calcio. Ieri, all’inizio, tra noi juventini c’era un po’ di discussione: i duri e puri della gufata contro i razionali che avrebbero preferito l’eliminazione dalla Champions di squadre pericolose come Tottenham e Liverpool. Io, personalmente, gufo un po’ per divertimento e un po’ perché credo che non ci sia nulla di più teso e insopportabile di un derby europeo, magari ai quarti o peggio più avanti.

Poi, durante le partite, mentre la prendeva Lucas Moura e poi la prendeva pure Alisson, i dubbi sono stati sciolti agevolmente.

Gufare è bello, sempre, ancora di più in Europa, ultimo appiglio di qualche disperato che non riesce a farsi una ragione del fatto che la Juve sia più forte della sua squadra e vinca per quel motivo più che per i parenti ultrà di Orsato: “come mai in Europa non vincete?”, ci chiedono con aria maliziosa, non rendendosi conto che forse battere Messi, Ronaldo, Neymar e Lewandowski è un po’ più complicato rispetto a prevalere su D’Ambrosio, Fazio e Mario Rui. Per questo, ogni volta che poi le loro squadre fanno capire in modo piuttosto chiaro quanto sia difficile fare strada in Europa (altro che arrivare in finale), è divertente ricordare loro che il pur efficace slogan “finoalconfine” andrebbe probabilmente rivisto.

“Aizzi i toni”, mi dice sui social qualche tifoso ancora inferocito per la partita di ieri, non capendo che il tifo è esattamente questo, sfottersi serenamente, tu mi dici #finoalconfine e io ogni volta ti faccio notare che a voi va costantemente pure peggio; una risata e amici come prima.

Più avanti toccherà a voi, celebrare in modo decisamente più rumoroso (fuochi d’artificio inclusi) la nostra uscita di scena. E va benissimo, perché il calcio tra tifosi va vissuto così. Ogni sfottò è ben accetto, lecito, anzi auspicabile, se non sfocia in rabbia e livore. La confusione è tutta qui: in troppi non hanno chiara la differenza tra sfottere e offendere o andare sul personale, come imparato da troppi cattivi maestri.

Lo sfottò sano non ha controindicazioni, ma contiene un unico rischio: crederci davvero. Perché se credi sul serio che la Juve vinca solo #finoalconfine per gli arbitri, “mentre in Europa…”, ecco che poi arriva l’Europa a spiegartelo in modo chiaro, perché sia più facile vincere da noi.

P.S. Prima della finale di Berlino, scrissi un pubblico “elogio della gufata”, andato perso nei nostri cambi di server ma che con poca eleganza incollo qui al solo fine di ricordare a tutti che gufare è bellissimo, sano, divertente, non ha proprio nulla a che vedere con l’odio o con le offese.

Anzi, sarebbe carino che a volte ci permetteste di farlo anche oltre il girone di Champions League, quando il gioco si fa duro e la gufata, come nessuno sa più di voi, regala gioie indimenticabili.

2 giugno 2015

Vorrei che fosse chiaro: non solo rispetto, ma approvo in pieno la scelta di tutti i non juventini che guferanno la Juve in finale.

Se ci fossero Milan (capita spesso) o Inter (è successo solo qualche anno fa, statisticamente potrebbe riaccadere già tra una trentina d’anni), per fare due esempi, guferei anche io.

Gufare, sperare che l’avversario di turno delle rivali le sconfigga, meglio se in modo beffardo o doloroso, è un’arte nobile che merita sempre la massima considerazione.

A nove anni ero felice come un bambino (anzi, ero un bambino) per la vittoria del Liverpool a Roma contro i giallorossi: “non sei sportivo”, mi dicevano indignati vedendomi esultare; e io me la ridevo, un po’ perché mi tornava costantemente alla mente l’indimenticabile “vai Ciccio” prima del rigorissimo di Graziani e un po’ perché questi idioti moralismi da quattro soldi mi facevano sbellicare già a nove anni.

La vittoria del mio rivale è suo modo anche la mia sconfitta: mi pare scontato – direi addirittura sano – sperare vivamente che non accada. 

E poi, ho sempre pensato: perché chi tifa per una italiana è sportivo e chi tifa per una straniera no?
In una eventuale (quanto improbabile) gara canora, dovrei quindi sostenere il maestro Minghi contro i Rolling Stones?

Magari è un po’ più strano che dei giornalisti sportivi decidano di premiare l’autore del gol con cui è stata sconfitta una italiana, come accadde nel caso di Magath, ma si sa, siamo in Italia e con la Juve di mezzo a qualche cronista capita spesso di perdere la testa.

Gufare, del resto, è divertente, perché fai un gran tifo ma senza le implicazioni sentimentali di quando gioca la tua squadra del cuore.

Tra le partite che ricordo con maggior piacere vi è senz’altro la finale di Istanbul tra Milan e Liverpool, “la stiamo vincendo, la stiamo vincendo”, e invece no. Divertente, rasserenante, senza soffrire troppo, perché comunque non c’è la Juve di mezzo: lo consiglio a tutti, sono certo che faccia bene alla salute. Certo, talvolta per rendere la gufata un po’ più sensata non sarebbe male se la propria squadra vincesse qualcosa: nel 2005 la Juve aveva appena vinto lo scudetto; nel 1984, prima ancora che Ciccio tradisse l’augurio di Pizzul, stesso esito: Juve campione d’Italia e vincitrice della Coppa delle Coppe.

Quella dell’Inter (inutile chiedermi quale: da quando sono nato ce n’è stata solo una) invece non l’ho vista, in quanto ero all’estero con amici: avessi gufato come si deve, con la giusta intensità, chissà come sarebbe andata. Per fortuna ci hanno pensato Moratti, da una parte, e Agnelli, dall’altra, a rimettere presto le cose al proprio posto, e problemi di tal genere, per un po’, non dovremmo averne più.

Quindi è giusto, ognuno ai propri posti: noi a tifare per la nostra squadra, tutti gli altri a supportare l’altra, che può rendere la stagione, al momento drammatica, quantomeno non tragica.

E quindi sì, certo che dovrete comprare le magliette di Messi, Neymar e magari anche di Suarez.

Perché, ecco l’unica controindicazione, se si gufa seriamente, il passatempo è un po’ caro: così, mentre noi ci teniamo la nostra maglia, magari comprata qualche anno fa, il vero gufo ha già dovuto acquistare e indossare in pochi mesi la maglia di Reus, di Berbatov, e almeno un paio del Real, che avrebbero dovuto costituire – secondo i suoi piani – l’ultimo investimento della stagione.

Invece niente, ora tocca alle tre maglie del Barcellona, per essere pronti già sabato notte a sbeffeggiare, vestiti di blaugrana, gli amici juventini sconfitti dai più forti.

Ci sta, lo ripeto. Anzi, se dovessi dire cosa invidio da diversi anni alle altre italiane, dalle milanesi in giù (o in su, che forse ne troviamo di più), ancora più dei loro prodi capitani Montolivo e Ranocchia, direi proprio questo: mi manca il poterle gufare.

Ecco, dovessi chiedere un regalo ai tifosi avversari, non chiederei di non gufare: anzi, visti i risultati quando supportano la loro squadra, hai visto mai che ci scappi il miracolo?

No, chiederei di ridarmi la gioia di poterle tornare a gufare anche io, come si deve.

Perché, credetemi, ce l’ho messa tutta, ma la maglietta del Qabaraq non sono proprio riuscito a trovarla.

Il Maestro Massimo Zampini