Skip to main content

Friends, la nuova serie – Juve & Coppa Italia

Il rapporto tra la Juve e la Coppa Italia è come quello di due cari amici che si erano persi di vista e, come capita spesso, il tempo sistema le cose e non le cancella quindi è sempre bello ritrovarsi.

È stato emozionante riallacciare i rapporti con la coppa nazionale negli ultimi tempi; quando l’abbiamo lasciata garantiva ancora generosamente l’accesso alla Coppa delle Coppe, offerta che allora gentilmente rifiutammo perché c’era da andare a vincere l’altra anfora orecchiona. Oggi ha meno fascino forse, ma passarci insieme una serata di primavera romana che sa tanto di estate “di musica e fotografia” è sempre splendido.

E allora ogni occasione in cui si aggiorna l’album dei ricordi è buona per girare qualche pagina indietro e ricordare che questa coppa è stata spesso nostra amica nei momenti felici e in quelli più delicati:

Lo fu nel 1983, alla fine di un campionato passato a rincorrere invano la Roma di Falcao e Di Bartolomei, dopo una delle amarezze più dure da digerire della storia bianconera ovvero la finale di Amburgo.
C’era da giocarsi una finale di Coppa Italia, formula ad andata e ritorno col Verona che era come il Napoli oggi: squadra inferiore come forza ma insidiosa (due anni dopo avrebbe vinto lo scudetto). Il primo round finisce male: 2-0 a zero fuori casa, un punteggio che 99 su 100 è una sentenza.
Poi c’è il ritorno, con l’amaro e i santi ancora in bocca e per i traguardi più ambiti sfumati male e quel risultato che sembra impossibile da ribaltare.
Ci penserà LeRoi Michel con una doppietta, il suo gol decisivo alla fine dei supplementari dopo una cavalcata al minuto 119 di Cabrini sulla fascia, perché FINOALLAFINE è il nostro motto da sempre, anche quando stai perdendo tutto.
Quella volta la vecchia amica Coppa Italia ci salvò la stagione e addolcì la tristezza, come solo i buoni amici sanno fare.

7 anni dopo il panorama nazionale era notevolmente cambiato; il Milan spadroneggiava senza avversari, l’Italia vinceva tutto quello che si poteva vincere in Europa, i mondiali erano sulle scale e stavano per bussare. La “piccola” Juve di Dino Zoff vince la Uefa in finale contro la Fiorentina e cerca di impreziosire una stagione da comparsa in campionato andando a sfidare il Milan di Sacchi per la conquista della vecchia amica. Ancora finale con formula A/R. A Torino finisce 0-0, si deciderà tutto 2 mesi dopo in casa del Milan, in una partita che sembra Davide contro Golia, e invece diventerà Galia vs Golia.
Il centrocampista segna su filtrante di Marocchi, la coppa torna a Torino a ricordarci che di squadre imbattibili non ne esistono e coglie l’occasione per salutare Zoff che farà spazio al calcio spettacolo di Manfredi…

Siamo all’annata 1994/95, la Juve viene da stagioni dove la vetta è lontana, 2 anni prima il Trap ha portato a casa la terza Coppa Uefa ma quello successivo è zero titoli e annata finita a inizio primavera. Lo scudetto ormai manca da 9 anni.
La Juventus cambia pelle, Marcello Lippi è il nuovo allenatore, i risultati arrivano subito coi bianconeri che tirano dritto fino in fondo a tutte 3 le competizioni a cui partecipano in un testa a testa a 360° col Parma. Lo scudetto è vinto in casa battendo proprio il Parma 4-0, la Uefa sfugge in finale dopo un cammino esaltante e molti infortuni: resta da giocarsi la vecchia amica con la formazione targata Parmalat di Nevio Scala.
Porrini protagonista: segna all’andata per l’1-0 finale, apre le marcature al ritorno in terra emiliana che finirà 0-2 con la sgroppata di Ravanelli. Quella sera la ricorderemo anche per il formale addio di Baggio che ammetterà candidamente di salutare il bianconero dopo 5 anni, (fa bene ricordarcelo perché quando si parla del divin codino sui media è rarissimo vederlo con la nostra maglia…)
Una serata dolce con la punta di tristezza per quel saluto e la solita vecchia amica, che per la nona volta venne a trovarci.

Da allora passeranno 20 anni di silenzio, di edizioni snobbate, di passerelle per i panchinari, di finali giocate con la testa altrove o troppo scarichi (come nel 2002, 5 giorni dopo la sbornia di Udine e di quel 5 maggio che ha fatto la storia) o perse semplicemente perché gli avversari la cercarono di più e quindi non perdemmo tempo a recriminare sugli episodi.

20 anni esatti, come quelli che segnano il passaggio da ragazzo appassionato di calcio a uomo: cambia tutto o quasi tranne i tuoi occhi allo specchio e quella passione per quei colori.
È l’anno 2015, l’era di Massimiliano Allegri, la Coppa Italia torna a essere un trofeo importante non solo nelle interviste ma anche sul campo. La Juve rischia di uscire in semifinale dopo la sconfitta interna per 1-2 con la Fiorentina che fa partire caroselli per il capoluogo toscano. Però c’è il ritorno e la Juve cannibale che lascia solo le briciole agli avversari si guadagna la finale con un 3-0 che smorza all’istante i caroselli e le feste da partita della vita.
In finale c’è la Lazio, partita tosta, si va subito sotto, poi la pareggia Chiellini una manciata di minuti dopo. Supplementari, minuto 95 Djordjevic fa doppio palo a salvare Storari che per una volta non ci può arrivare, passano 60 secondi, Matri, gol. La coppa torna bianconera, per la decima volta, dopo 20 anni. Che bello ritrovarci.
L’anno successivo è di nuovo finale, stavolta col Milan che ci arriva affrontando Perugia, Sampdoria, Carpi e Alessandria. Di nuovo supplementari. La risolve l’uomo decisivo, Alvaro Morata su assist di Cuadrado, un gol che sa d’addio.
È di nuovo coppa, la numero 11, di nuovo scudetto, la prima volta nella storia della serie A che una squadra fa il double per 2 volte di fila. Di nuovo a lasciare le briciole agli avversari che potranno partecipare alla Supercoppa solo da “imbucati”.

E così girando le pagine dell’album ci ritroviamo al presente, con la coppa numero 12 ancora in mano ai ragazzi dopo una partita dominata, di nuovo contro la Lazio. 2-0 griffato da quella rock star extra terrestre di Dani Alves che fa quello vuole in campo e col pallone. È un incontro speciale con la vecchia amica, la terza volta di fila, altro record: mai nessuno c’era riuscito prima.

Dodici incontri, tutti speciali, tutti con un significato preciso: a celebrare, a festeggiare, a confortare o salutare chi se ne stava andando.
Sempre al momento giusto, come un vero amico a cui puoi dire solo grazie, con una promessa: “alla prossima, non è un addio”.

Willy Signori.

Da Arezzo a Cardiff

 

Vi propongo una pagella d’annata: 19 Maggio 2007. Arezzo-Juve: 1-5. La Juve festeggia il ritorno in A.

 

 

Ora, nonostante lo smodato ottimismo di Tuttosport, si faccia avanti chi, tra i dieci lettori di questo articolo, quel pomeriggio del 19 maggio 2007 avrebbe mai immaginato che, esattamente dopo dieci anni, ci saremmo trovati a questo punto. Ecco, lo sapevo: nessuno.

Eh sì, perché anche il più inguaribile ottimista, in quel caldo pomeriggio, sul campo di Arezzo, mai avrebbe potuto immaginare che nei dieci anni successivi la Juve avrebbe vinto 5 scudetti su 9 (con il Crotone in mezzo al sesto su dieci), quattro finali di Coppa Italia di cui tre vinte, consecutive, due finali di Champions in tre anni (con la seconda ancora da giocare, e chissà…), più una semifinale di Europa League, con un fatturato alle stelle, uno stadio di proprietà, una società solida proiettata nel futuro…

Davvero nessuno. E se anche ci fosse stato qualche inguaribile ottimista, di quelli che riescono a trovare il risvolto positivo in mezzo ad ogni disastro, si sarebbe certamente arreso dopo i primi tre / quattro anni da quel pomeriggio. Sarebbero stati gli anni dei cinque allenatori in pochi mesi, dei settimi posti, di un senso di appartenenza alla storia della Società che si andava man mano affievolendo. Gli anni dei “senza Moggi non vincete”, dei trionfi degli altri, di quelli che, man mano stava venendo fuori, non erano stati tanto diversi da te, anzi…

Inutile nascondercelo, le sensazioni che tutti provavamo quel giorno, mentre sul campo di Arezzo c’era anche chi aveva voglia di festeggiare con magliette celebrative il ritorno in serie A, erano di smarrimento, di angoscia. Come di colui che torna a casa dopo una lunga assenza e non trova più la famiglia, i punti di riferimento e a dirla tutta, forse, nemmeno la casa.

Ed erano i sentimenti che mi sono ritornati tutti addosso semplicemente sfogliando quel vecchio giornale del giorno dopo. Altro che la Delorean di Marty McFly, la vera macchina del tempo ce l’ho io tra le mani. Mi rivedo anche mentre quel giornale lo vado a comprare, quasi vergognandomene, ma non poteva mancare nella mia collezione. Ed oggi, eccolo qui, fare la sua bella figura in mezzo a quelli dei trionfi, precedenti e, fortunatamente, successivi.

S’era vinto un campionato che non era stato nemmeno la passeggiata di salute che tutti pensavano, con una squadra distrutta dalle cessioni e non abituata alla categoria. Il Rimini e l’Albinoleffe, per dire, erano rimasti imbattuti sia all’andata che al ritorno, in casa avevamo lasciato punti anche a squadre come l’Arezzo, avevamo perso a Mantova e Brescia…

E il senso di smarrimento era ancora più forte nello sfogliare quel giornale. La sensazione, quasi la certezza, che quelli della vecchia guardia che avevano accettato di rimanere sarebbero andati via. Lo leggevi dalle parole di Nedved, dalle espressioni di Buffon, lo capivi dalle richieste di mercato per Trezeguet e Camoranesi. E percepivi, nettissima, la assoluta necessità di rinforzare adeguatamente quella squadra che non poteva affrontare la serie A con Boumsong e Paro.

Certo, qualche spiraglio quel ragazzo col giornale lo intravede, soprattutto quando arriva alla pagina delle pagelle dell’annata. E quando le legge, comincia a sorridere di nuovo. Sì, forse andrà via Nedved ma, insomma, c’è Palladino

E io vorrei parlargli con quel ragazzo, di dieci anni fa. Vorrei urlargli che non sempre i giornali ci prendono, che non verrà né Huntelaar né Diego Milito (che erano in ballottaggio, secondo quel quotidiano), che i proclami di rinascita di Deschamps dureranno poche ore… Ma di guardarsi intorno, da qualche parte, magari sulla panchina dell’Arezzo potrebbe trovarci un indizio di quello che sarà, un allenatore che sarà retrocesso per colpa di una sconfitta interna della Juve contro lo Spezia all’ultima giornata, il 10 giugno 2007.

Dieci giugno. Una settimana dopo il 3 giugno. Che in quell’anno era solo il giorno di Bari – Juve, 1-0 e si faccia avanti anche chi, in quel momento, avrebbe saputo collocare esattamente su una carta geografica la ridente cittadina di Cardiff…