Gli uomini che hanno riscritto la storia

Da Buffon a Zaza, tutti i protagonisti di una cavalcata straordinaria

Gianluigi Buffon

E con questo sono nove, tutti vinti con la stessa maglia. Non c’era mai riuscito nessuno e, a ben vedere, non avrebbe potuto farcela nessun altro. Perché Gigi Buffon è il portiere più forte di tutti i tempi. Punto. E non serviva questo scudetto per certificarlo, al limite ne è un’ulteriore conferma. Il peso che ha avuto Gigi nella vittoria è enorme e non solo per il record di imbattibilità in campionato, portato a 973 minuti, o per aver tenuto la porta inviolata in casa in tutto il 2016.

L’importanza del capitano è stata assoluta in campo, ma anche nello spogliatoio. È stato lui a presentarsi davanti ai microfoni dopo la sconfitta con il Sassuolo, quando sembrava che il campionato per la Juve fosse già finito a ottobre. Ha parlato da leader, da guida, da punto di riferimento. Poi, per far seguire i fatti alle parole, ha deciso che gli avversari avevano già segnato abbastanza e ha tirato giù la saracinesca. Sarà un caso, ma da quel momento la Juve non si è più fermata. E quel rigore parato a Firenze è il suo sigillo sul trionfo.

Norberto Murara Neto

È il portiere della Coppa Italia ed è anche grazie a lui se la Juve arriverà a giocare un’altra finale dopo quella dello scorso anno. Il destino lo ha privato della possibilità di giocarsela, fermandolo con un infortunio, ma gli ha anche permesso di conquistare il suo primo scudetto. E non uno scudetto qualsiasi, quello del Quinquennio 2.0

Rubinho

Due volte in campo, nelle prime due stagioni, e quattro tricolori in bacheca. E non si facciano discorsi astrusi del tipo: “deve avere almeno una presenza per conteggiarli”. Rubinho i suoi scudetti li ha vinti con il lavoro quotidiano, con la serenità e gli insegnamenti che sa trasmettere ai compagni più giovani, con una presenza discreta e preziosa. Nei punti fermi della Juve pluricampione c’è anche lui.

Emil Audero

Ha un grande futuro davanti e a forza di allenarsi con i campioni  non potrebbe essere altrimenti. Perché se a Gigi Buffon si può rubare qualche segreto, da Neto e Rubinho si può imparare l’arte della pazienza. E per un portiere è una dote non banale.

Giorgio Chiellini

È stata una delle stagioni più travagliate da quando è in bianconero, con gli infortuni che, da febbraio in avanti, lo hanno fermato in questi ultimi mesi. Prima però Giorgio c’è stato, eccome! E come sempre è stato un caposaldo di una difesa impenetrabile.

È a un passo, anzi due, dalle 400° presenza in bianconero, un traguardo che in pochi possono anche solo pensare di raggiungere. Soprattutto è al suo sesto scudetto con la Juve ed è uno dei “magnifici otto” che hanno vissuto il Quinquennio. Insomma, tra qualche anno, nei libri di storia del calcio, andate pure a cercare Giorgio Chiellini. Ma solo se avrete parecchio tempo per la lettura…

Martin Caceres

Si ferma a inizio 2016 per un infortunio al tendine d’Achille che lo blocca per il resto della stagione, privando così Allegri di una pedina preziosa. E il fatto che il tecnico, anche mesi dopo l’infortunio, ricordi più volte la sua assenza, fa capire quanto El Pelado sia un giocatore importante per la Juve. Del resto, senza esserlo, non si vincono cinque scudetti consecutivi. E lui l’ha fatto, dal primo all’ultimo…

Alex Sandro

Una delle scoperte più belle di questa stagione. Certo, il termine è poco appropriato per uno che aveva già giocato cinque stagioni nel Porto, ma un conto è seguirlo ogni tanto in tv, un conto è gustarselo dal vivo, con i colori bianconeri indosso e vederlo confermare, ogni volta, quanto sia stata lungimirante l’operazione che lo ha portato alla Juve. Perché Alex Sandro non solo è capace di arare la fascia per novanta minuti, di difendere come un mastino e di sfornare assist come un trequartista raffinato. È anche giovane. E i suoi 25 anni sono una garanzia per il futuro della fascia sinistra.

Andrea Barzagli

E qui? Cosa vogliamo scrivere? Cosa vorreste leggere? Valli a trovare gli aggettivi per descriverlo… Ormai pure soprannomi come la Roccia o il Muro sono diventati riduttivi per Andrea Barzagli. Per Gigi Buffon «andrebbe clonato» e dal suo punto di vista, il desiderio è comprensibile. Noi però preferiamo tenerci l’originale, perché il suo gioco è un mix di classe, tecnica , grinta ed esperienza. E posto che le prime due qualità siano replicabili, le altre sono troppo preziose per affidarle ad un esperimento.

Leonardo Bonucci

Che giocatore è diventato Leonardo Bonucci! Ora è davvero uno dei difensori più completi, moderni e affidabili del pianeta. E il bello è che il suo è stato un percorso lineare, in continua e costante crescita: non ha stravolto il suo modo di stare in campo. Semplicemente è migliorato, giorno dopo giorno, partita dopo partita. Oggi è il leader della difesa, il punto di riferimento del gioco, che sempre più sovente inizia dai suoi piedi. Basti dire che qualche settimana fa, quando Leo era assente per squalifica, mister Allegri, alla domanda “chi può sostituire Bonucci”, rispose: «la difesa a quattro…». Più imprescindibile di così!

Daniele Rugani

Per giocare nella difesa più forte d’Italia devi avere fisico, tecnica e testa. Le prime due qualità sono comuni a molti giocatori. La terza, intesa come mentalità, non come “colpo di…”, è più difficile da trovare. Daniele Rugani ha anche quella. E l’ha dimostrato vivendo la sua prima stagione in bianconero con l’umiltà di chi è qui per imparare. E dire che l’anno prima nell’Empoli non aveva saltato una partita e si era messo in luce come uno dei difensori più forti e corretti del campionato, tanto da non aver mai rimediato un giallo, cosa per altro accaduta solo quest’anno a Firenze, alla sua 53° partita in serie A. Quando la stampa si chiedeva perché non giocasse, ha saputo stare al suo posto. Ha aspettato. Ha lavorato. Ha guardato. E ha imparato. E diamine se l’ha fatto bene! La comprensibile timidezza, il timore di sbagliare delle prime uscite hanno lasciato spazio alla sicurezza e alla convinzione. E ora Daniele è un altro giocatore. Più grande, forte e maturo.

Stephan Lichtsteiner

Sarà che è svizzero e quindi il paragone viene quasi naturale, ma affidarsi a Lichtsteiner è un po’ come mettere i soldi in banca. Lo Swiss Express è una certezza: sai già che quando scenderà in campo ti garantirà copertura e cross, inserimenti e ripiegamenti, assist e anche qualche gol. Qualcuno lo definirebbe “affidabile”, se non fosse che il termine è sminuente per uno come lui, che ogni volta non solo dà fondo ai polmoni, ma ha anche tanta qualità da offrire. Meglio inarrestabile, se volete, o trascinante, irresistibile, inesauribile… Gli aggettivi trovateli voi, basta che siano cinque; come gli scudetti che ha messo in fila.

Patrice Evra

Quando si deve scrivere di Patrice Evra, la tentazione è quella di chiamarlo e chiedergli di fare da solo, perché con le parole è talmente bravo che difficilmente si potrebbe fare meglio di lui. Ricordate la settimana post Sassuolo? Dopo Buffon tocco a Patrice parlare e disse una cosa tanto semplice quanto forte: «Io mi sveglio ogni giorno pensando che sono fortunato ad avere la possibilità di vincere il quinto scudetto di fila. E ora questa possibilità la stiamo buttando via». Cosa? Parla di scudetto in una situazione del genere? Dopo la quarta sconfitta in dieci partite? Ma se siamo dodicesimi?!? Questo è quello che ha pensato tutto il mondo, tranne i suoi venticinque compagni di squadra. E se ora stiamo scrivendo queste righe è perché lo hanno ascoltato, capito e seguito. Perché Patrice Evra con le parole ci sa davvero fare. E, tra l’altro, anche con i piedi se la cava benino…

Sami Khedira

Arrivare in un centrocampo orfano di gente come Pirlo e Vidal è una responsabilità non indifferente. I tifosi sono abituati bene ed è un attimo che inizino a mugugnare. Una soluzione per evitarlo è presentarsi con un gol la prima volta che giochi una gara di campionato in casa. Sami lo fa il 4 ottobre, chiudendo la partita con il Bologna con un perfetto inserimento e un’incornata sul secondo palo. Poi, per non lasciare nulla al caso, firma altre quattro reti, e una di queste arriva nel Derby, cosa che ai tifosi fa sempre piacere. A questo punto però eravamo arrivati a marzo e il popolo bianconero lo aveva già adottato, riconoscendogli un senso tattico fuori dal comune, la personalità del leader e le qualità del campione… del mondo, per giunta.

Claudio Marchisio

Lo scorso anno aveva fatto le prove generali e in questa stagione è andata in scena una nuova versione di Claudio Marchisio. Non più lo spietato incursore dei primi scudetti, ma un metronomo attento e preciso, capace di dettare i tempi del gioco e di costituire la prima linea di sbarramento davanti alla difesa più forte del campionato che, se è stata tale, è grazie anche alla sua generosità.

Una generosità che lo ha portato, ahi noi, a quell’intervento contro il Palermo che gli è costato il legamento crociato. L’affetto da cui è stato sommerso non accorcerà i tempi di recupero, ma è la testimonianza, l’ennesima, di un legame intenso e viscerale con il tifo bianconero. Non potrebbe essere altrimenti per uno cresciuto a pane e Juve fin dall’infanzia. E a ben vedere, la sua vita è già un romanzo: entra nella Juve da bambino, fa tutta la trafila delle giovanili, arriva alla Prima Squadra e riscrive la storia vincendo cinque scudetti consecutivi. Inutile dire che non vediamo l’ora di rivederlo in campo a scrivere nuovi capitoli.

Paul Labile Pogba

E pensare che, quando vestì per la prima volta il “10”, a Shanghai, per la Supercoppa, alcuni storsero il naso, non vedendo in Paul un giocatore con le caratteristiche adatte a portare sulla schiena il numero più ambito. Già, perché un “10”, dicevano gli scettici, è uno che fa sognare le folle, che segna e fa segnare, che sa prendersi la responsabilità delle giocate più difficili. Un “10” lo riconosci subito: è un leader, uno che catalizza l’attenzione e che sa reggere la pressione. Un “10” deve essere in grado di trascinare i compagni, di cambiare una partita, ma anche di regalare numeri ad effetto che facciano impazzire i tifosi. Un “10” è il giocatore che gli avversari temono di più, quello cui sono riservate attenzioni particolari, ma lui, con il suo talento, sa evitare le trappole, riesce a eludere le marcature asfissianti a suon di dribbling.

Eh già… Pogba sarà mica un tipo del genere…

Hernanes

L’esempio vivente di quanto siano preziose in un giocatore la disponibilità e la duttilità: Hernanes è arrivato all’ultimo giorno di mercato per coprire la posizione di trequartista. È diventato, grazie ad una felicissima intuizione di Allegri, un regista affidabile, capace non solo di impostare il gioco, ma anche di dare un pesante contributo alla fase difensiva. I piedi buoni, del resto, li ha sempre avuti. Quello che ha stupito e invece l’indole al sacrificio che, per uno che ha giocato tutta una vita dietro le punte, non è proprio una caratteristica scontata. E invece Hernanes l’ha tirata fuori: ha aspettato il suo momento, ha accettato di buon grado le richieste del mister e si è rivelato un giocatore utilissimo alla causa.

Mario Lemina

Avevamo imparato ad apprezzarlo durante l’estate, quando la Juve affrontò l’Olympique Marsiglia in amichevole. Il calcio d’agosto però spesso è traditore, perché un conto è mettersi in luce in una partita in cui il risultato non ha importanza, un conto è confermarsi quando si fa sul serio, in un altro campionato, con una maglia pesante come quella della Juve indosso, e quando, per di più, si devono ancora compiere 23 anni. Mario l’ha fatto, in un ruolo delicato come quello di mediano davanti alla difesa, regalando anche qualche giocata d’autore, come il gol rifilato all’Atalanta: doppio passo, dribbling secco ed esterno destro a fil di palo. Qualche volta il calcio d’agosto sa essere sincero.

Simone Padoin

“Che ci frega di Ronaldo noi c’abbiamo Padoin”, Vuoi iniziare a scrivere del Pado non citando l’ormai celeberrimo coro? No, non si può, anche perché quella non è solo una canzoncina da stadio. È un omaggio doveroso, così come l’esplosione dello Stadium al suo gol contro il Palermo: Simone se lo merita, perché è raro, se non unico, incontrare un giocatore che abbia la sua umiltà e la sua abnegazione. Questo è quello che fa impazzire i tifosi, ma, a ben vedere, è perfino ingeneroso. Perché Padoin non è solo uno che lavora in silenzio. È uno che, di lavori, ne sa fare mille. In questi anni ha giocato ovunque: all’ala, da terzino, da interno di centrocampo, davanti alla difesa… E ovunque, da perfetto jolly, ha saputo interpretare il ruolo senza sbavature. Ha evitato giusto di mettersi in porta, ma ci viene il sospetto che anche lì farebbe la sua figura.

Kwadwo Asamoah

È stata la stagione del rientro, dopo un anno vissuto a recuperare dall’infortunio al ginocchio, che lo aveva costretto all’operazione. Asa ha lavorato sodo, ha stretto i denti ed è tornato a mettere il suo dinamismo, la sua voglia di arrivare primo su ogni pallone al servizio della squadra. In più di un’occasione ha raccontato quanto sia stato difficile rimanere lontano dal campo così a lungo. Per tutto questo tempo però non ha mai perso quel sorriso che negli anni è diventato un suo tratto distintivo. Glielo vedi sempre stampato sul volto, fino a quando arriva il momento di scendere in campo. A quel punto non sorride più. E men che meno lo fanno gli avversari…

Stefano Sturaro

Con due anni di Juve alle spalle e altrettanti scudetti in bacheca, Stefano Sturaro ha messo insieme un bagaglio di esperienza che è difficile trovare in un ragazzo di 23 anni. La personalità, quella l’ha sempre avuta e l’aveva già dimostrata nella sua prima stagione in bianconero (per le credenziali rivolgersi al Real Madrid), ma ora ha aggiunto al suo bagaglio un calcio più maturo e ragionato. Stefano adesso non è solo un ottimo interditore, ma ha sviluppato anche il fiuto per l’inserimento e i gol messi a segno contro Palermo e Bayern sono lì a dimostrarlo. Merito di Allegri, maestro straordinario, ma anche della sua capacità di ascoltare, guardare e imparare. Una capacità che ha solo chi è destinato a un grande futuro.

Roberto Maximilian Pereyra

Il Tucumano è stato a lungo fermo per infortunio ed è così spesso venuta a mancare una pedina preziosa: le sue capacità di cambiare il ritmo della gara, di inserirsi, di mandare a rete i compagni sono state costrette al part-time. A questo punto la domanda sorge spontanea: se già così la Juve è riuscita a rimontare lo svantaggio iniziale in campionato con un filotto inarrestabile, cosa avrebbe potuto fare se avesse avuto a disposizione Roberto Pereyra per tutta la stagione?

Simone Zaza

Dici Simone Zaza e pensi a quella sventola contro il Napoli. Inevitabile e sacrosanto, perché è il gol che corona la pazzesca rimonta dei bianconeri e che porta la squadra in cima alla classifica. Simone Zaza però è stato ben più di quel gol. Intanto perché ne ha segnati altri, belli e pesanti, e poi perché l’ha fatto dimostrando di aver compreso perfettamente cosa significhi far parte di una squadra come la Juventus. Non è scontato che un giovane smanioso di imporsi sappia mettersi a disposizione come ha fatto lui, accettando senza un fiato di partire spesso dalla panchina. Non è scontato, ma è fondamentale, anche per la sua crescita. Simone l’ha capito subito e ha risposto da campione, tenendo nella prima parte della stagione una media gol/minuti giocati pazzesca. Generoso, talentuoso, fisicamente straripante… Aveva detto, appena arrivato di voler dimostrare di essere da Juve. Missione compiuta. Alla grande.

Alvaro Morata

Quando parte, testa bassa e palla al piede, è una furia della natura: ha una velocità fuori dal comune e una tecnica sopraffina che gli permette dribbling a mille all’ora. Per la Juve è un’arma micidiale, e non è un caso che sia uno degli uomini più impiegati da Allegri. È vero, diverse volte è entrato a gara in corso, ma proprio la sua capacità di incidere subito sulla partita e di finire avversari già sfiancati è stata spesso decisiva. Alvaro è arrivato al top della forma nella seconda parte della stagione e ha segnato gol pesantissimi, come la doppietta nel Derby o, prima ancora quella rifilata al Chievo, o quella all’Inter, in Coppa Italia. Oppure quel tap in contro la Fiorentina, con cui ha lasciato una firma indelebile sul suo secondo scudetto in bianconero.

Juan Cuadrado

È forse il giocatore che più è cresciuto in questa stagione. Juan Cuadrado è arrivato con il suo straordinario talento per il dribbling, ma anche con una buona dose di anarchia tattica e solitamente, giocatori come lui, sono piuttosto riluttanti a cambiare approccio. E invece Allegri ha fatto un lavoro superbo, trasformandolo in un esterno completo, capace di coprire tutta la fascia, Juan ora sa sacrificarsi in difesa, ma non per questo rinuncia ai suoi colpi. Anzi, ha anche acquistato sicurezza sotto porta e ha segnato gol di importanza capitale. Uno su tutti quello nel Derby di andata, allo scadere, che ha dato il via alla cavalcata bianconera.

Mario Mandzukic

Non c’è niente di meglio che vedere un giocatore che ha vinto tutto e che di mestiere fa il centravanti rincorrere l’avversario fin dentro la propria area di rigore, strappare il pallone e ripartire. E con Mario Mandzukic questa scena si è vista spesso e volentieri. Alla voce “generoso” sul vocabolario dovrebbero quantomeno inserire il nome del croato tra i sinonimi. Il fatto è che potrebbe creare un po’ di confusione linguistica, perché poi lo si ritroverebbe anche alle voci “potente”, “campione”, “cecchino”…

Sì, anche cecchino, perché Mario nonostante tutto il “lavoro sporco” che si sobbarca, è uno che raramente sbaglia le occasioni che gli si presentano. Il fatto è che, vedendolo grande e grosso, si pensa al classico ariete d’area, mentre in realtà lo trovi spesso a dialogare con i compagni, a far salire la squadra, a giocare di prima. E poi, quando la palla ce l’hanno gli altri, a “mordere” gli avversari. Ecco, anche la definizione di “mastino” andrebbe aggiornata…

Paulo Dybala

Un fuoriclasse. Come pochi se ne vedono nel mondo e, con la forza dei suoi 22 anni, con margini di crescita tendenti all’infinito. Paulo Dybala è stato l’acquisto più costoso dell’ultimo mercato e… Pardon, rifacciamo: Paulo Dybala è stato il più grande affare dell’ultimo mercato, non solo di quello bianconero, e ha ripagato fino all’ultimo centesimo quanto la società ha investito su di lui.

La sua moneta di scambio è semplice: gol a raffica, classe sopraffina e personalità da veterano. A questo si aggiunga la capacità di cambiare modo di giocare rispetto al suo recente passato, quando a Palermo agiva da prima punta. Qui alla Juve è diventato capace di muoversi ovunque: a volte lo trovi a prendere il pallone a metà campo, altre è sulla tre quarti, altre ancora sulla fascia. Fino a quando non decide di arrivare dalle parti dell’area e deliziare tutti con quel sinistro incantato.

Massimiliano Allegri

Quanto incide un allenatore sul rendimento di una squadra? È una domanda vecchia come il calcio, al quale Allegri oggi ha dato finalmente risposta. Non la daremo in percentuale, perché lui non le ama e sarebbe fargli un torto, ma è sicuro che la sua mano, in questa pazzesca stagione, abbia lasciato un’impronta gigantesca. Una rosa rinnovata profondamente, partenze eccellenti in estate e la responsabilità di trovarsi di fronte ad un traguardo storico: c’era da rimanere schiacciati da tanta pressione, per di più dopo la partenza in salita dei primi due mesi. Comprensibile che ci fossero delle difficoltà all’inizio, ma il popolo chiedeva risultati. Allegri ha mantenuto sempre una calma contagiosa, l’ha trasmessa ai suoi uomini e ha fatto capire loro che l’unica soluzione, quando la testa della classifica era lontana undici punti, era non guardarla. E per spiegarlo ha tirato fuori la metafora della gara a cronometro. “Noi facciamo un tot di punti, senza pensare agli avversari. Corriamo da soli”.

L’unico modo per riuscirci era giocare bene. Il mister ha sempre insistito su un concetto: a calcio serve tecnica. Il pallone deve viaggiare veloce e preciso e non si devono commettere errori. Lapalissiano. I bianconeri l’hanno seguito e la gara a cronometro si è trasformata in una tappa di montagna, con tanto di fuga. Il tutto condito da soluzioni tattiche geniali: ora la Juve non solo sa cambiare modulo durante la partita. Lo sa fare durante la stessa azione, passando dalla difesa a tre a quella a quattro nello spazio di pochi secondi.

E poi Dybala e Rugani lanciati nei tempi giusti, Cuadrado trasformato in un esterno tuttofare, Hernanes davanti alla difesa… Allegri sa gestire gli uomini come pochi altri al mondo. E sa farlo con serenità, senza caricarli di pressioni eccessive. Sa richiamarli all’ordine, ma anche regalare un sorriso o una pacca sulla spalla quando è il momento.

In questa stagione ha messo in pratica tutto il suo enorme bagaglio tecnico e umano. E ha fatto un capolavoro. Di nuovo.