Icardi alla Juve: siete pronti?

Romeo Agresti

@romeoagresti

Il sogno di mercato della è uno solo. E si chiama Mauro 🇦🇷 @GoalItalia

 

Tutto nasce da questo semisconvolgente tweet di Romeo Agresti, collega che conosco da tempo, con il quale ho lavorato e che fin da giovanissimo voleva conoscere ogni virgola delle migliori, o comunque più credibili, tecniche giornalistiche di un settore da tempo liquefatto nel modo di fare notizia quale è il giornalismo sportivo.

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Credo dunque di sapere piuttosto bene come si muove, come si dedica alla mission impossible delle cosiddette verifiche anche nello spinoso terreno del calciomercato. Dunque, è stato spontaneo contattarlo, cercare di capire, aiutarsi se possibile. In pratica, confontarci di fronte a quella che in campo nazionale sarebbe il più sensazionale trasferimento dell’estate 2018.

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Diciamolo: al momento siamo anche un po’ costretti professionalmente ad affrontare la questione del possibile passaggio dell’amato/odiato capitano dell’Inter alla Juventus, appena 25enne e fresco della tanto agognata qualificazione alla prossima Champions oltre che fresco della scottatura della mancata convocazione al mondiale russo.

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Siamo costretti anche se, da ogni parte la si prenda, si arriva tutti alla medesima considerazione: ma come è possibile? Domanda lecita, nonostante siamo convinti sia assolutamente possibile. O, se non altro, plausibile. “Ma come fa l’Inter a permettere tutto questo? Supponendo Icardi sia l’identikit perfetto del dopo-Higuain, con Marotta che non sarebbe interessato a sostituire il Pipita con un altro ultratrentenne, non c’è una clausola valida solo per l’estero? E siamo forse così ingenui da non ricordare cosa accadde con Stankovic, Guarin e Brozovic?”. Tante domande, il retrogusto che è uguale per tutti i colleghi, tanti, a conoscenza di questo abboccamento dal quale lo stesso centravanti argentino non si sottrae. Sputeranno fuori il rospo, comunque vada. Al limite come retroscena.

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Post-scriptum 1 – a quel che si mormora ci sono importanti studi legali che starebbero studiando nei dettagli il contratto (e le clausole) dell’attuale contratto del giocatore nerazzurro.

Post-scriptum 2 – oltre le ottime referenze in casa Juve circa il modo di allenarsi di Icardi, c’è uno spaventato Spalletti che avrebbe confidato il timore proprio di vedere il bomber con cui non ha feeling in bianconero anche perché un altro bomber che non ha feeling con il suo allenatore…

Luca Momblano

La nostalgia è il migliore dei sentimenti

La nostalgia è il migliore dei sentimenti, degli stati d’animo. Per questo vorrei subito un paio di banche a disposizione per riportare a Torino quel ragazzaccio di Pogba e pure, se c’avanza un finanziamento, Arturo Vidal, che tanto ha dato e pianto nella notte di Berlino. L’occasione potrebbe esser proficua per un viaggio nella memoria comprensivo di Alvaro Morata e Simone Zaza, chiaramente. Perché i ragazzi che sono stati in maglia bianconera ed hanno perso e vinto non si lasciano lontani da casa.
Dicono che sia necessario il progetto tecnico in queste ore, che bisogna affidarsi a qualcosa di stabile perché i desideri dei giocatori sono labili, mutevoli. Tutto giusto però mister Allegri ha dimostrato di saperci fare con quelli dai piedi buoni, quindi sarebbe da continuare su questo schema semplice.

Il guaio, in estate come d’inverno, ai saldi o durante le sfilate in passerella, è la cassa e il numero complessivo dei ragazzi che possono stare in ‘rosa’ senza far saltare il bilancio, il registro di quel presidente munifico ma non cretino.
La coppia Marotta-Paratici ha assicurato meraviglie sinora ed una – sottolineano i bene informati – come Emre Can è già nel carniere delle cose che possono essere, al netto di infortuni e mal di schiena. Se si aggiunge che l’agente che sembra 007 con la pancia ed è amico di Nedved vorrebbe portare un altro paio di ragazzi, sperando che l’aria di Torino e il team come lo abbiamo visto possa far fare il salto definitivo, il quadro è chiaro. Perché è successo e succederà.
Ma lo sguardo non può che tornare a quel centrocampista dalle movenze svampite e dal tiro laser che arrivato anni fa sotto traccia è poi sbocciato nel Pogba che il mondo conosce.

Faccio per questo una previsione da nulla. Di quelle che si possono pure dimenticare. Perché il calcio è caduco come le amicizie d’estate.

Se il mondiale 2018 si conclude in un certo modo e non promuove nessuno dei ragazzi interessati dalla Vecchia Signora il miracolo si può pure provare. Tra la fine del torneo iridato e i ritiri delle squadre migliori potrebbe avvenire l’impensabile. Perché qualcuno potrebbe esser portato ad allargare la borsa e qualche altro agire di conseguenza. Basta guardare il nuovo e già prenotabile J-Hotel per avere fiducia.
Così come la sede societaria alla Continassa non è quasi stata inaugurato. Nessuna festa o vernissage, amichevole di lusso e sciocchezza luminescente.
Stile sabaudo. Un po’ grigio e molto bello. Come quegli alberi che crescono felici ai lati del palazzetto dove si immaginano strategie. C’erano tonnellate di immondizia fino a poco tempo fa.
La Juventus migliora il mondo. Sarebbe necessario affermarlo in qualche spot. Facendo vedere quei prati, quella ghiaia fina.

Simone Navarra.

Morata può tornare a essere Morata?

Negli ultimi anni, Londra sponda blues è divenuta un luogo importante per quanto riguarda il mercato bianconero, con trattative volte a far tornare giocatori che a Torino avevano fatto benissimo. Dopo Juan Cuadrado, Alvaro Morata è un nuovo nome caldo, uscito conseguentemente anche rispetto alla possibilità che la società rifletta su Higuain nel caso arrivassero offerte adeguate. Dopo un’annata chiusa molto male (un solo gol nel 2018) e culminata con l’esclusione dai 23 convocati per Russia 2018, è verosimile pensare che lo spagnolo abbia voglia di rilanciarsi con la casacca bianconera.

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Chi scrive questo pezzo è un fan di Morata della primissima ora, che ha sempre adorato la sua iper verticalità e la capacità di “spaccare” le difese avversarie quando riceve palla fronte alla porta, con una progressione che diviene un vero e proprio crack nelle partite di coppa. Dopo lo strepitoso 2014-2015, non apprezzai a pieno il modo in cui venne utilizzato da Allegri nella stagione successiva, perché utilizzare Morata come ala/punta di raccordo vuol dire castrarne le qualità, richiedendogli un lavoro associativo per nulla nelle sue corde.

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Dopo un’annata in chiaroscuro con Zidane (tanti gol decisivi ma utilizzato come comprimario), ero felicissimo quando seppi che avrebbe giocato al Chelsea come sostituto di Diego Costa. Prima di tutto perché reputavo la Premier un contesto ottimo per veder esaltate le sue doti; e poi perché sarebbe stato allenato da uno dei primissimi tecnici di campo del mondo. Credevo quindi che (finalmente da titolare) potesse migliorare molto, e consacrarsi definitivamente con una stagione di altissimo livello.

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Purtroppo, al netto di qualche upgrade nei movimenti negli ultimi metri alle spalle della difesa avversaria, purtroppo vedo un Morata per nulla migliorato in quelle che erano (e sono) le sue più grandi lacune, purtroppo abbastanza gravi per un attaccante di alto livello: giocare spalle alla porta, duelli fisici, decision making, associatività e capacità di dialogo nello stretto. Senza contare la sua fragilità emotiva, con diversi periodi durante l’anno di scarsa convinzione che lo porta a tempi prolungati in cui non riesce letteralmente a segnare, divorandosi gol impossibili (anche a causa di una tecnica non irreprensibile per quanto concerne la finalizzazione).

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Insomma, se persino in questa stagione, in un contesto che sembrava cucito su misura per lui, ha sofferto così tanto mi viene da pensare che forse ha limiti incolmabili se lo si pensa come titolare in un top club, e che probabilmente non sarà quel crack assoluto che mi auguravo. Si deve partire da questa premessa prima di ipotizzare Morata alla Juve o in un qualsivoglia top team. Perché non esiste tifoso o allenatore che non vorrebbe un profilo di questo tipo in rosa, calciatore che come pochi altri ha le caratteristiche “di coppa”, quelle che in gare di Champions ti fanno la differenza, una su tutte quella di ribaltare il fronte d’attacco (viene in mente la celeberrima gara di Monaco). Un conto è vederlo come jolly spaccapartita, un conto è pensare di vederlo come titolare post Higuain. Lasciando perdere il numero di gol, quest’anno l’argentino ha svolto un lavoro immenso per quanto riguarda la legatura dei reparti e l’agire da raccordo/regista offensivo, sopperendo alle lacune del centrocampo e divenendo uomo squadra come mai in carriera.

Va da sé che, parlando dal punto di vista tattico e accantonando un attimo le già citate lacune di personalità, Morata non sia in grado minimamente di assolvere a tali compiti, di conseguenza bisognerebbe modificare le caratteristiche tecniche della squadra per richiedergli cose più consone per quelle che sono le sue doti.

In sintesi, è un giocatore che nella mia squadra vorrei sempre. Ma, per un top club,  oggi sarebbe un azzardo molto grosso impostare una stagione da 50 e più partite con Morata come centravanti, perché non hai garanzie né tecniche né caratteriali. Di contro, per rimettersi in gioco, va considerato come per lo spagnolo forse oggi non esista posto migliore della Juventus. E, per un atleta che ha spesso peccato di fragilità, questo non è un aspetto da sottovalutare.

Jacopo Azzolini

Il percorso emozionale di Mattia Perin

Le parole d’amore, misurate ma emozionanti, lo sguardo fiero ma provato, le lacrime, trattenute a stento e poi liberate senza vergogna, con il susseguirsi vorticoso d’emozioni. Dettagli quasi fotografici, come fossero una polaroid emozionale di un ragazzo al probabile passo d’addio.

Dettagli della conferenza post Genoa-Torino di Mattia Perin (tramutatasi in una sorta di saluto commosso alla stampa ligure), che tratteggiano minuziosamente animo e stato d’animo dell’ex Padova. Il portierone di Latina, con il groppo in gola, rende omaggio al microfono (dopo averlo fatto anche in campo, con i tifosi) alla grande famiglia del Grifone, che lo ha accolto da ragazzino e lo ha accompagnato, passo dopo passo, sino alla maturità pallonara. Lo fa con un pizzico di magone, come un giovane che sceglie di andarsene dalla casa dei genitori, consapevole di come, a malincuore, sia giunto il momento di uscire (non solo in prestito) dalla propria comfort zone calcistica (comunque di raro prestigio), per misurare le proprie doti sul lussuoso palcoscenico planetario della Champions League.

La competizione con la celebre musichetta, che, riforma dopo riforma, si avvicina sempre di più all’idea di superlega in linea, pur con tutti (e tanti) i distinguo del caso, ad un NBA (anche se potrebbe assomigliare più all’MLB) pallonara. Proprio quell’NBA di cui Mattia è un grande fan, tanto da aver presenziato come guest star, negli anni scorsi, ad una puntata di Basket Room, talk show di una nota emittente satellitare dedicato al mondo della palla a spicchi, con grande attenzione alle vicende oltre l’oceano Atlantico.

Una NBA calcistica da affrontare, sin da subito, all’interno di un team ultracompetitivo nel ruolo di Perin, con la necessità di mettere in luce tutte le qualità di cui il numero 1 classe ’92 dispone per mettere in discussione le gerarchie interne, almeno quelle di partenza, tracciate dal presidente Agnelli. “L’eredità di Gigi passa a Tech Szczesny“, ha detto la massima carica dirigenziale bianconera nel giorno della conferenza d’addio di Buffon, addirittura abbreviando benevolmente il nome del ragazzo polacco, lasciando intendere grande stima nei suoi confronti. Un problema per l’ex Pescara? Assolutamente no, al massimo uno stimolo in più per mostrare al mondo, ancora una volta, di che pasta è fatto Mattia Perin.

Uno vero che, a vent’anni ancora da compiere, a Padova, terra ovale se ce ne è una, dove s’impara l’arte del sostegno dentro e fuori dal campo, ha saputo prendersi la maglia numero 1 a suon di parate e lavoro quotidiano di spessore, nonostante l’età e la concorrenza di un referente massimo come Ivan Pelizzoli. Uno che si è rialzato senza cicatrici psicologiche dopo l’anno difficile in Abruzzo, bersagliato e trafitto senza tregua dagli attaccanti avversari, non sempre esente da colpe, alla prima vera esperienza in massima serie. Uno che, soprattutto, tra una parata e l’altra sul mar Ligure, ha patito due infortuni terribili ai legamenti crociati di entrambe le ginocchia, tornando incredibilmente in campo sempre più forte di prima.

Molto più di semplici dettagli, che rendono Mattia Perin un profilo da Juventus, non solo per il notevole standard prestativo consolidato in questo magico ’17/’18, ma anche per la capacità di gestire con perizia tutto l’insidioso sottobosco emozionale che circonda le radici di un portiere di primo livello.

Matteo Viscardi.