Il lato bianconero della forza

Nella testa resterà la soddisfazione per una Juve dominante, come e quando vuole; nelle orecchie resterà il frastuono dell’Olimpico (3 volte di fila teatro del trionfo) e quel ritornello “ce ne andiamo a Cardiff“”, nel cuore resterà quella gioia piena eppure parziale, compiuta eppure prima di una serie in crescendo che sta accedendo dentro di noi auspici di leggenda e sogno.

Negli occhi resteranno le scene dei vecchi che ne alzano ancora una, la terza, siamo a 11 titoli in 5 anni (per ora), generazione inesausta e insaziabile, gli occhi di nuovo ebbri di felicità di Higuain, uomo che ha vinto in passato e poi si era quasi dimenticato com’era quel sapore, i volti quasi increduli di Pjanic e Rincon al primo titolo in carriera, e poi quelli di Mandzukic e Dani Alves, assoluti protagonisti di serata. I due esterni Juve. Una squadra unica. Con un terzino (IL terzino) che è l’uomo più avanzato in campo (e segna) e con un centravanti che invece è l’uomo con più recuperi in campo e stilla sangue e sudore fino al 92° per recuperare l’ultima palla dell’ultimo istante. Infiniti.

Daniel Alves da Silva. 33 trofei vinti ieri. 27 finali vinte su 30 ieri. Mostruoso. Alla Juve ha dato cose che pochi calciatori nella storia hanno offerto. Alla Juve “si impara a vincere”, “si diventa campioni”, da Platini a Zidane, da Nedved a Del Piero. Lui, che ha vinto tutto, sta trascinando la Juve su un piano diverso. La voglia di aggredire, di meravigliare, di giocarla sempre e segnare. Nel nuovo ruolo poi la sua classe cristallina, unita ad un agonismo micidiale, sta straripando. Alla Juve probabilmente Dani ha aggiunto poi qualcosina alla sua completezza, un’attenzione tattica maggiore, una disciplina difensiva che al Barca non aveva o comunque non gli interessava, né serviva farlo.

Mario Mandzukic. Anche lui ha vinto tutto. Ed era naturalmente predestinato al ruolo di secondo di un Higuain bomber e attaccante di movimento stellare. Eppure il motore di quest’uomo, la voglia matta di sacrificarsi, di azzannare il pallone, di proiettarsi in avanti ma soprattutto di inseguire i garretti altrui, lo hanno reso un esterno unico per dominio fisico, per sacrificio, per sponde aree e controllo di palla.

E infine, se vi dico Allegri a cosa pensate? “Innanzitutto bisogna fare i complimenti ai ragazzi, hanno fatto una grandissima partita, non era semplice“. E’ la sua frase fatta, ogni volta, ogni vittoria. Al fischio finale ogni volta lo stadio acclama, i ragazzi esultano, si abbracciano e vanno sotto la curva, si fanno i selfie negli spogliatoi e ballano. Lui invece al fischio finale imbuca il tunnel come un fulmine sorridente o – nelle poche volte – come un ossesso. E’ un’urgenza di liberazione dalla gara, lasciare il palcoscenico ai ragazzi, a quelli che in campo fanno quello che lui faceva, con grande tecnica e molta indolenza, da giocatori.

La fuga dalla vittoria, dal trionfo, dagli applausi e dall’esultanza di uno stadio festante (intero o a metà, come ieri) è quasi una voglia di scrollarsi di dosso le tensioni pubbliche di una gara e godersi in solitaria e nell’ombra la soddisfazione e il piacere della gioia.

Allegri ha avuto una formula 1, fin dal primo giorno, e l’ha pilotata alla grande, fin da subito. Poi ha deciso di metterci le ali e viaggiare a velocità supersonica sul pianeta della consapevolezza, dovunque, in A come in Champions, come in Coppa Italia. Abbiamo acceso il reattore della tecnica senza spingere troppo su quello degli schematismi, della foga ossessiva per 95 minuti.

Ieri la Juve si è ripresa il centro della scena dopo il motore spento con la Roma. 7 tiri in porta nei primi 25 minuti, 2 gol di talento e cattiveria, poi altre 4 palle sprecate con l’HD ancora un po’ fuori fuoco. Dimostrazione di un lato bianconero della forza ormai così sicura, così in controllo che mette paura, sia in A che in Europa.

Poi, sul 2-0, la Juve ritorna italianissima, all’antico. Una testuggine che abbassa la testa e non puoi stanare, figuriamoci  ferire.

Il bello è che, come al Camp Nou, come col Monaco, anche ieri sera la Juve è rimasta imperfetta: poco cinismo avanti, pochissime uscite brillanti nella ripresa, quasi in surplace. Tra 15 giorni servirà la perfezione, la Juve di quella mezz’ora col Monaco o del primo tempo col Barca, la Juve della prima mezz’ora di ieri. Per 90 minuti, fino alla fine!

Sandro Scarpa.