La Juve, l’Inter e 5 spunti dalle finali di coppa

Alla fine il calcio post Covid, senza pubblico, con i giocatori già ceduti ad altre squadre e un fascino inferiore, ha permesso comunque alle più forti di vincere le competizioni: dallo scudetto della Juventus (ormai superata dall’Inter, come saprete se leggete il Corsera, ma un po’ più forte almeno fino a poche settimane fa) fino alla Champions del Bayern e la coppa vinta dal Siviglia.

Proviamo, dunque, a capire se si può trarne qualche spunto.

1) Champions, EL e il segreto per vincerle

Resto convinto che nelle competizioni a eliminazione diretta permanga un forte elemento di casualità, ma se in dieci anni Real, Barcellona e Bayern hanno trionfato in otto edizioni di Champions, è evidente che l’elemento aleatorio ha un’influenza inferiore rispetto a forza, tradizione, potenzialità, possibilità economiche e pianificazione. Lo stesso vale per il Siviglia: se vinci per 6 volte l’Europa League, vuol dire che subito dopo il calcio dei grandissimi ci sei quasi sempre tu.

Strategie per vincerla con buone probabilità, in ogni caso, continuo a non vederne: senza arrivare ai deludenti Real e Barca di questi due anni dopo un decennio trionfale, il super Liverpool di Klopp subito dopo il trionfo esce con l’Atletico di Simeone, ormai dato per vetusto e superato; Guardiola con i suoi super campioni non arriva mai neanche in finale; il Bayern, straordinario nella programmazione (che meraviglia Davies, Gnabry, Kimmich e compagnia!), cambia allenatore a metà anno, mette uno sconosciuto in panchina e vince in modo che più meritato non si potrebbe.

Aggiungo una suggestione al mistero Champions: ci sono competizioni in cui determinate squadre, per esperienza, storia e albo d’oro, si sentono a casa e moltiplicano le loro qualità. Anche per questo il Real in Champions è difficilmente battibile (ma anche il Barca e a periodi più alterni Milan, Bayern e Ajax, che almeno qualche finale ogni tanto la perdono), a quanto si vede è così per il Siviglia in EL, capace di prevalere su squadre più quotate e ricche come Manchester Utd e Inter; Psg e City non hanno mai vinto pur potendo disporre di fondi, campioni e guide tecniche straordinari. Certamente è così per noi in campionato, in cui abbiamo prevalso decine di volte e siamo sicuri di noi anche se siamo decimi in classifica dopo 12 giornate, tanto rimontiamo e le altre si fermano.

2) La Juve e l’allontanamento dall’obiettivo Champions

Il punto 1 è un altro buon motivo per cui va presto invertito il nostro trend nelle finali: qui i principali rammarichi non vanno certo al periodo di Allegri, ma a quelli dei due mostri sacri Trapattoni e Lippi, straordinari fino all’ultimo atto ma poi deludenti contro squadre decisamente alla portata.

L’ossessione Champions, nell’ambiente, è crescente e clamorosamente sbagliata, di certo aumenta la tensione e non le probabilità di vincerla. Il conto degli anni senza vittorie non ha alcun senso: in mezzo c’è stato lo tsunami di Calciopoli, siamo ripartiti da zero, lontanissime dalle big, non vedo alcun nesso tra Juve-Dortmund del 97 e Juve-Barca del 2015, in cui era già un miracolo essere lì.

Ciò detto, non nascondiamoci: la Juve per il secondo anno di fila è uscita contro una squadra inferiore, allontanandosi decisamente dall’obiettivo, dopo averlo sfiorato più volte negli anni precedenti. La squadra vince in Italia (evviva! Altro che scudettini…) ma in Champions si ferma troppo presto, qualcosa non va e urge cambiare rotta: troppi campioni di questi anni non sono più fisicamente affidabili, non è ancora chiaro se davanti con Ronaldo debba giocare un centravanti o il nostro splendido numero 10, serve un ricambio generazionale che pare in via di attuazione e non sarà facile realizzare senza qualche contraccolpo.

A dispetto di alcuni tifosi juventini che negli anni passati si sentivano umiliati per avere perso delle finali di Champions contro Real e Barca, costretti a subire gli sfottò di tifosi avversari che non vincevano neanche una Coppa Italia da diversi anni (“basta, ormai preferisco non arrivarci in finale!”: ecco, ora si esce molto prima e si soffre meno), pare perfino banale spiegare che quest’anno, molto deluso per il percorso in Champions, avrei largamente preferito essere il PSG, che si è giocato la Coppa fino al secondo tempo della partita decisiva, piuttosto che un tifoso del Marsiglia, che esulta legittimamente divertito per la sconfitta altrui ma non gioca certe partite da tempo.

Ma “le finali non sono trofei”, sottolinea acutamente qualche juventino disfattista di questi anni, e infatti nessuno le annovera negli albi d’oro: si citano per attestare, quando si parla di squadra inadeguata all’Europa, che hai fatto dei percorsi straordinari, migliori di tanti altri squadroni ben più ricchi e che quindi la strada era quella giusta, altro che mentalità mancante, fino al confine e fesserie varie.

Magari disputarne un’altra l’anno prossimo, e vada come vada. Prestigio, soldi, la bellezza di essere gli ultimi a finire la stagione, con il mondo che ti guarda o ti gufa. E se soffri troppo per gli sfottò di chi non ti batte da una vita, ci sono due strade: ti scegli una squadra meno odiata o ti cancelli dai social. L’opzione “dai, sono passati troppi anni, vinciamo la Champions”, ahimè, non è contemplata.

3) L’Inter si avvicina

Lo stesso, ovviamente, pur se in maniera decisamente minore, vale per la finale dell’Inter. Minore perché l’EL è una coppa di secondo piano, lo sappiamo bene, anche se in Italia per qualche giorno è diventata una sorta di Coppa Rimet un po’ più prestigiosa, e chi si azzardava a ricordare che si tratta della Coppa delle eliminate o delle squadre dal quinto posto in già veniva accusato di invidia o negazionismo.

Ciò detto, in questi anni l’ha disputata una volta la Juve, tante volte le milanesi, le romane, il Napoli e nessuno era mai giunto il finale. E io, che pure a gufare mi diverto moltissimo e infatti la vittoria del Siviglia mi ha allietato un altrimenti tranquillo venerdì sera, non amo vedere le nostre “rivali” raggiungere le finali nelle coppe europee: si tratta di momenti emozionanti, ai quali tutti vogliono arrivare, per i quali vale la pena vivere le stagioni.

Lasciate perdere i grotteschi editoriali sull’avere ormai superato la Juve, così, ad agosto, quando la Juve non giocava più e aveva già fatto meglio in tutte le tre competizioni cui partecipavano entrambe: l’Inter è davvero in grande crescita perché investe, ha tanti giocatori forti, ha già preso Hakimi, avrà in ogni caso un grande allenatore, sta trovando la giusta mentalità. E ovviamente ha molta ma molta ma molta più fame di noi, visto che dieci anni senza trofei sono un record al massimo eguagliabile ma certamente imbattibile.

4) Coman e i rimpianti mediatici

So che sono anni complicati per media e tifosi avversari, ma l’ultimo dei motivi per cui rimpiangere un ex è vedere, cinque anni dopo la cessione, un’ala velocissima realizzare un gol di testa (non certo la specialità della casa) nella finale di Champions League. Allora non dovremmo cedere nessuno, perché certo non escludo che Douglas Costa o altri campioni che cederemo possano risolvere in futuro partite decisive. Coman è stato preso a 0, rivenduto a 28 milioni: da tifoso sarei sempre ben contento se giovani così promettenti restassero a vita da noi, ma anche grazie a operazioni del genere abbiamo potuto investire su altri campioni come Dybala, preso proprio quell’anno per una cifra ingente. Lo stesso, ovviamente, vale per l’Inter di Perisic e Icardi (che peraltro fanno pure panchina): ceduti per far crescere la società con altri giocatori, non vuol dire che non potranno fare gol decisivi nelle prossime competizioni. E la Juve, due anni dopo la cessione di Coman, ha fatto un’altra finale di Champions, mentre il Bayern c’è arrivato ora per la prima volta in questi 5 anni con il francese (con esito ben più felice, lo so bene). In breve: per carità, speriamo di tenere i giovani più promettenti – che il francese avesse talento e velocità si vedeva limpidamente -, cerchiamo di azzeccare acquisti e cessioni. Ma vivere di rimpianti perché Coman segna in finale di Champions, cinque anni dopo averlo venduto, sinceramente, proprio no.

5) Orsato e il paleolitico di casa nostra

E poi ci sarebbe da parlare di Orsato, del fatto che l’arbitro deriso in Italia da un paese allo sbando venga designato per la finale di Champions, la diriga alla grande e il giorno dopo, nonostante alcuni contatti in area, nessuno se la prenda con lui ma tutti pensino solo al campo, al perché si è vinta, ai motivi per cui si è persa. Ma lì dovremmo tornare nel paleolitico che ci circonda da decenni, e sinceramente non ne vale la pena.

Il Maestro Massimo Zampini