La Juve si spegne nella ripresa, la coppa al Real

Dopo un ottimo primo tempo terminato in parità i bianconeri perdono mordente e il Real ne approfitta. A Cardiff finisce 4-1 per le merengues

Perdere una finale fa sempre male, ma questa volta più delle altre. La Champions League va al Real Madrid, che merita il successo, sia chiaro, ma questa volta fa più male perché davvero non si riesce a comprendere cosa sia accaduto nell’intervallo di una partita che, nel primo tempo, la Juve sembra davvero poter vincere, dopo aver rimontato l’iniziale vantaggio madridista di Ronaldo con un gol spettacolare di Mandzukic e aver schiacciato gli avversari. E invece la ripresa inizia male e finisce peggio, con i bianconeri inspiegabilmente molli e il Real che se ne accorge e nel giro di tre minuti vince partita e coppa.

SUBITO RONALDO

E dire che la Juve parte così bene… Navas ha subito il suo da fare, per bloccare prima due tentativi di Higuain, una girata di testa e un destro dai venti metri, poi per respingere la sventola di Pjanic dal limite.
Per i primi dieci minuti la Juve quasi non fa vedere palla al Real, manovrando con un’autorevolezza esaltante, poi tocca alle merengues macinare gioco. I tentativi sembrano sterili, perché non arrivano mai dalle parti di Buffon, ma la prima volta che accade è decisiva: Ronaldo apre sulla destra per Carvajal, riceve il passaggio di ritorno in area e lascia partire un rasoterra in diagonale che si infila nell’angolino senza che Buffon possa farci nulla.

RISPONDE MANDZUKIC

Un tiro concesso, un gol subito: un’altra squadra accuserebbe il colpo, sarebbe frastornata, rischierebbe di demoralizzarsi. I bianconeri invece reagiscono piazzandosi nella metà campo madridista. E in sette minuti rimettono le cose a posto con un gol da antologia: Pjanic apre per Alex Sandro che dalla sinistra, al volo, trova in area Higuain. Il Pipita controlla e tocca per Mandzukic che stoppa di petto e, spalle alla porta si coordina per una sforbiciata tanto bella quanto letale.

DOPPIO REAL IN TRE MINUTI

La Juve insiste, il Real regge l’urto e prova a rispondere e il risultato è una gara combattuta, tesa, che offre poche occasioni e che in avvio di ripresa si fa a più rude  e vive un momento di stanca per una serie di interruzioni che certo non favoriscono lo spettacolo. La Juve, che anche dopo il vantaggio era stata padrona del campo è irriconoscibile e ora sono gli spagnoli a comandare il gioco. I bianconeri non riescono a uscire dalla propria metà campo e dopo il sinistro di Modric bloccato da Buffon e il tentativo di Marcelo, fuori misura, arriva il nuovo vantaggio madridista con Casemiro, che trova l’angolo basso con un destro dai venti metri su cui Buffon non arriva.
Questa volta la reazione non arriva, anzi, il Real vede l’avversario in difficoltà e ne approfitta, colpendo ancora dopo tre minuti, ancora con Cristiano Ronaldo, che arriva per primo nell’area piccola sul traversone basso di Modric e mette in rete.

DELUSIONE E APPLAUSI

Allegri a questo punto gioca il tutto per tutto, inserendo Cuadrado e Marchisio al posto di Barzagli e Pjanic. Più tardi, alla mezz’ora, tocca anche a Lemina rilevare Dybala, ma la Juve non riesce a produrre altro se non un colpo di testa di Alex Sandro a lato. Oltretutto al 39′ Cuadrado, già ammonito, rimedia un secondo giallo per una spinta veniale su Sergio Ramos e viene espulso. A questo punto è davvero finita e nel recupero il Real infierisce ancora con il gol di Asensio. La delusione è feroce, perché questa volta sarebbe davvero potuta andare diversamente, ma una sconfitta, non può ridurre i meriti di una squadra che ha condotto una stagione comunque straordinaria. Non può neanche per un istante impedirci di applaudire i nostri ragazzi, come fanno gli splendidi tifosi sugli spalti del National Stadium of Wales.

JUVENTUS-REAL MADRID 1-4

RETI: Ronaldo 20′ pt, Mandzukic 27′ pt, Casemiro 16′ st, Ronaldo 19′ st, 46′ st Asensio

JUVENTUS
Buffon; Barzagli (21′ st Cuadrado), Bonucci, Chiellini, Alex Sandro; Khedira, Pjanic (26′ st Marchisio): Dani Alves, Dybala (33′ st Lemina), Mandzukic; Higuain
A disposizione: Neto, Lichtsteiner, Benatia, Asamoah, Marchisio
Allenatore: Allegri

REAL MADRID
Navas; Carvajal, Varane, Ramos, Marcelo; Modric, Casemiro, Kroos (44′ st Morata);  Isco (38′ st Asensio); Ronaldo, Benzema (32′ st Bale)
A disposizione: Casilla, Nacho, Danilo, Kovacic
Allenatore: Zidane

ARBITRO: Brych (GER)
ASSISTENTI: Borsch (GER), Lupp (GER)

QUARTO UFFICIALE: Mažić (SRB)
ARBITRI D’AREA: Fritz (GER), Dankert (GER)

AMMONITI: 12′ pt Dybala, 30′ pr Sergio Ramos, 42′ pt Carvajal, 8′ st Kross,  21′ st Pjanic, Alex Sandro 25′ st, Cuadrado 27′ st, Cuadrado 39′ st,

ESPULSI: 39′ st Cuadrado

Non basta (e sono cinque)

Non basta neanche questa volta. Quando tutto sembra (ma soltanto sembra) dirti a favore, quando tutti ti dicono a favore, quando il realismo (soprattutto giornalistico) s’è perso cammin facendo. Non basta per niente. Quando in campo ci va la convinzione, quando i primi minuti rimandano un po’ all’Ajax e un po’ al Dortmund. Non basta neppure di fronte a questo crocevia. Al bivio dell’intervallo la Juventus del secondo tentativo firmato Allegri imbocca il tunnel sbagliato, lo spettro è quello del disastro cosmico, non distante dalle reazioni post Lucento.

 

Non è bastato neanche questa volta. Non un Pjanic dentro la Partita come non lo si poteva immaginare osservandone il peso in giallorosso, non un tiro e un gol contro cancellato quasi subito da un eurogol al momento giusto, non troppo in là ma in là a sufficienza perché l’illusione del Real si alimentasse. E’ serata. Carvajal è una crepa, Marcelo è timido ed è incredibile pensarlo anche lui in balia del girovagare acrobatico di Dani Alves. Con infine Dybala che potrebbe aver rotto il fiato anche lui al momento giusto, cioè verso la mezzora. Mai stati così sereni nella pausa, lo si ammetta.

 

No, non è bastato. L’ultimo baluardo giornalisticamente rilevante, nel mondo in cui i dietro le quinte finiscono virgolettati, è arrivare a conoscere il misterioso discorso dell’intervallo. Quando si scende sotto dominanti, con Modric e Casemiro fuori dalla partita, Higuain che alla terza sicuramente farà centro. Chi, cosa, come. Chissà con quali sguardi, con quali intenti.

 

Non basta. Non basterà. L’unica cosa scontata, indotta dentro ogni tifoso, sarà che l’inizio della ripresa ricalcherà l’inizio della partita dopo aver scelto a cinque dal termine di portarla giù all’italiana, alla maniera della Juventus. Per arrivare, appunto, a guardarsi negli occhi. E ripartire come prima, perché del Real s’avvertiva l’imbarazzo.

 

Si vede che no. Non basta parlare. Si gioca, il Real gioca, è un’altra squadra. E’ LA squadra. Sparisce Mandzukic e sparisce la Signora. E’ significativo, forse, ma non deve condizionare le scelte prossime venture. Non è stata una costante della stagione bianconera. Quindi va preso come un episodio, pur dando enorme significato a quanto raccontato per mesi da Allegri a proposito del croato. Spiace più per Mario che per Gonzalo e Paulo, visto come è andata. Spiace per la notte che viene e quella dopo ancora. Impareranno a leggere meno i giornali. Per lo meno Dybala, che ne avrà altre davanti. Dal terzo giorno si capirà semplicemente che non è bastato sentirsi forti, perché sentirsi alla pari in condizioni impari deve portarti a osare. Invece si è assistito a un effetto domino al costante ribasso. Due schiaffi, un imbuto, come solo il calcio sa offrire.

 

Però poi basta. Dal terzo giorno si riparte, perché la Juve è la Juve. E se la Juve è la Juve, sul 1-3 non è finita anche se è finita. Allegri in questo, lui, guardandolo, è stato un uomo coerente, immerso nella parte. A tutti gli altri un solo messaggio: non siete i primi e non sarete nemmeno gli ultimi. Nelle altre finali perse, in campo non c’eravate voi. Il filo conduttore è artificioso. Così come è artificioso cercare di trasformare questa stagione in qualcosa di diverso. E’ stata eccezionale. Certo che poi, lavorare un anno per due deviazioni…

 

Lasciamoci qui. E poi ritroviamoci a luglio. Perché non è vero che non basta mai. Basta migliorarsi senza mai sentirsi migliori (e qui dentro, se ci metto anche il fattore gioco, viene fuori un pandemonio). Buona estate a tutti, tanto l’estate vola.

Luca Momblano.

Addio Cardiff: cause, scorie, sogni

millennium stadium cardiff

Ieri sera, a sconfitta appena servita, pensavo che il day after sarebbe stato ancora più difficile, traumatico e sofferto del dopo-Berlino. Perché stavolta non partivamo sfavoriti, perché abbiamo asfaltato il Barcellona invincibile, perché arrivavamo senza infortuni, perché un sacco di cose. Così non è stato, sono riuscito addirittura a mettere in fila qualche riga ed analizzare la partita in modo quasi lucido.

Un inizio assolutamente promettente, un primo tempo da Squadra che si Gioca una Finale, con tutte le maiuscole possibili, una ricerca del gioco e del palleggio (anche in zone del campo rischiose) che non è facile mettere in campo in una finale. Al gol subito da quel mostro lì, che era facile mettere in conto, non ho mai avuto la sensazione che potessimo perdere, ero praticamente sicuro che gliel’avremmo restituito presto. Non in quel modo, certo: la perla di Mario, che un’eventuale vittoria avrebbe spedito dritto nell’Olimpo degli eroi bianconeri di ogni epoca (le maledette sliding doors del calcio) è stata una giocata sontuosa ma estemporanea, detto che in quel frangente la squadra non faticava affatto da arrivare sulla trequarti del Real, che al contrario si era affacciato dalle nostre parti solo in occasione dell’1-0.

Secondo tempo, il blackout totale: com’è stato giustamente sottolineato da diversi colleghi, sembrava la Juve del primo tempo col Genoa, quella del 4-2 con la Fiorentina (non a caso ultima partita in cui abbiamo preso 4 gol prima di ieri), un po’ quella del primo tempo di Berlino. Non mi sento di ascrivere al caso il gol di Casemiro (MVP in due finali su due, dov’è il caso?), dato che con un forcing del genere il Real avrebbe potuto segnare in mille altri modi, così come l’espulsione di Cuadrado come alibi non può appartenere a un tifoso che si vanti di esser juventino. Incassato il secondo KO, il Madrid ci è saltato addosso e noi non siamo riusciti a evitarlo, restando tramortiti. Il resto è storia.

Le cause? Non mi va di credere alle maledizioni, altrimenti dovrei iniziare a valutare anche l’omeopatia, Scientology e altre follie simili, né tantomeno alla storia o alla “questione di DNA”, perché ad andare in campo sono 11 giocatori dei quali conta solo e solamente il presente. Se Berlino ci ha insegnato che spesso a vincere la Champions è la squadra più forte, Cardiff ci insegna che vince SEMPRE la squadra più cinica, più mentalmente solida, più pronta, più bastarda. A bocce ferme, dal punto di vista tecnico le due squadre erano su piani simili, ma in ogni altro aspetto non c’è stata storia, senza contare che ogni giocatore del Real ha reso al 200% contro il 50% scarso dei bianconeri del secondo tempo. Casemiro ha divorato Pjanic e Khedira, Varane più di Ramos ha imbrigliato Higuain, Isco tra le linee ha squartato in due sempre e comunque il nostro impianto difensivo. CR7 merita una menzione speciale, con quel ciuffo biondo mi ha ricordato la sua versione di Manchester, quando da giovanissimo incantava il pubblico dell’Old Trafford e iniziava a farsi odiare e amare dai tifosi di tutta Europa. Di acqua sotto i ponti ne è passata molta, Cristiano stesso ha cambiato molte versione di sé, a rimanere intatta è stata quell’aura di onnipotenza che emana in partite del genere. Un giorno capiremo quanto siamo stati fortunati a vivere nell’epoca sua e di Messi.

Cosa resta di Cardiff dunque? Resta la sensazione che una squadra come la nostra avesse tutte le carte in regola per portare a casa quella coppa lì, la sensazione che stavolta l’abbiamo davvero fatta cadere noi dalle nostre mani, che per qualche dettaglio l’abbiamo consegnata ancora agli avversari. Rassegnazione? Rimpianti? Non è roba da Juve, così come non lo è credere che “non la vinceremo mai“. La fame atavica di Cristiano e del Real tutto, quel non esser mai stanchi di dominare, non è dissimile dalla filosofia del “Fino alla Fine” che persegue la Juve. I dettagli saranno la piccola grande chiave dei prossimi successi, quei dettagli che permetteranno a Marotta e Allegri di costruire una Juve più forte e in generale più “pronta”. Basterà tutto questo per alzare quella coppa lì? Appuntamento a Kiev, 26 maggio 2018, in società c’è chi sta già lavorando per noi.

Alex Campanelli.

Champions League, Finale: Juventus-Real Madrid 1-4

di Davide Terruzzi


La Juventus disputa un buon tempo prima di crollare nettamente nella ripresa di fronte a un Real Madrid che si conferma meritatamente campione d’Europa


Tra i miti, questo è uno dei più tristi. Racconta di una storia d’amore e di morte, quella che unisce Orfeo ed Euridice. Il cantore magnifico che incanta tutti col suono della propria arpa, tanto da convincere i signori degli inferi a ricondurre la sua amata nel mondo dei vivi a condizione che durante il viaggio verso la terra la precedesse e non si voltasse a guardarla fino a quando non fossero giunti alla luce del sole. Orfeo, presa così per mano la sua sposa, iniziò il viaggio, ma un sospetto lo invase pensando di condurre per mano un’ombra e non Euridice. Dimenticando così la promessa fatta, si voltò a guardarla, ma nello stesso istante in cui i suoi occhi si posarono sul suo volto, la moglie svanì e fu costretto ad assistere alla sua seconda morte.Cosa c’entra con la Juventus? La sua storia con la Champions è di un grande amore che diventa un’ossessione, un sogno che muore e si trasforma in un incubo quando sembra che ci siano tutte le condizioni per diventare finalmente campioni d’Europa. La formazione d’Allegri si è presentata al grande ballo finale di Cardiff con la convinzione di potercela fare, di poter battere il Real Madrid; il primo tempo, ben controllato dai bianconeri, poteva solamente rafforzare la fiducia, ma gli spagnoli in quindici minuti hanno sciolto qualsiasi speranza e velleità di vittoria grazie a una notevole prova di forza e di superiorità.

Allegri ha schierato la formazione titolare dell’ultimo mese, quella in cui Barzagli prende il posto di Cuadrado negli undici di partenza. Rispetto alle previsioni, però, il tecnico livornese non passa alla difesa a 3, adottando quel 3-4-3 fluido che si era visto col Monaco, schierando la sua squadra col consueto 4-2-3-1; il difensore centrale viene quindi adattato come terzino destro con Dani Alves ala. Molti più dubbi invece provenivano dal fronte Real, tanto che fino alla consegna della distinta da parte di Zidane circolavano diverse ipotesi: l’allenatore francese, icona bianconera e simbolo del Real, doveva pesare le condizioni di Carvajal e Bale. Zizou si è confermato allenatore pratico, scegliendo di schierare la formazione in grado di offrire maggiori garanzie fisiche e tecniche: l’idolo di casa, il simbolo calcistico del Galles non sta bene e quindi s’accomoda in panchina, mentre il terzino destro titolare, sebbene acciaccato, è la soluzione migliore rispetto a Danilo o Nacho. Real quindi in campo col 4-3-1-2 dove Isco è il vertice alto del rombo di centrocampo alle spalle della consueta coppia Ronaldo e Benzema.

Si diceva di un primo tempo ben controllato da parte della Juventus. I bianconeri hanno approcciato correttamente la partita con buona intensità mentale e tecnica, sfruttando al meglio le debolezze intrinseche dello schieramento avversario. In fase di possesso, infatti, la squadra di Allegri ha spesso cercato lo sfondamento sulla sinistra, sfruttando le avanzate di Alex Sandro con Mandžukić sempre pronto ad alzarsi e giocare sulla linea di Higuain; il blando pressing del Real consentiva una buona circolazione del pallone con lo sviluppo della manovra offensiva sulla corsia mancina. Sulla destra, invece, i problemi erano maggiori per una serie di fattori: Barzagli è rimasto sempre bloccato, accompagnando mai l’azione, mentre Dybala, autore di una prestazione incolore, è stato poco dinamico non mettendosi nelle condizioni di poter trovare il giusto spazio, anche defilandosi, per rendersi utile alla manovra. La buona circolazione del pallone ha permesso il controllo della gara,sebbene sia mancata la precisione negli ultimi 20 metri con una mancanza di lucidità e di frenesia che non ha permesso alla Juventus di rendersi maggiormente pericolosa. Miralem Pjanić è stato un gigante, il migliore tra gli juventini, grazie a una presenza costante e un coinvolgimento totale nel gioco bianconero; il bosniaco è stato poi costretto a provare ad assorbire il contropiede del Real, lavorando spesso anche per un Khedira che attaccava l’area di rigore per vie centrali.

La buona prestazione del primo tempo è legata anche all’organizzazione senza palla. La Juventus ha pressato bene con un pressing offensivo collettivo: i due esterni alti uscivano alti sui terzini, mentre i due interni chiudevano gli appoggi centrali. La squadra d’Allegri dirottava il gioco del Real sulla corsia laterale costringendo gli uomini di Zidane a cercare dei cambi di campo improvvisati sui quali l’ala sul lato debole si faceva trovare pronto intercettando i passaggi. Quando il Real Madrid consolidava il proprio possesso, i bianconeri s’abbassavano nella propria trequarti sistemandosi col consueto 4-4-2 ponendo attenzione a mantenersi compatta sia orizzontalmente che verticalmente. La Juventus è stata meno efficace nella transizione. Per due motivi: la mancata precisione negli ultimi metri, figlia anche di una frenesia nel cercare velocemente la porta, non consentiva ai bianconeri di essere ben schierati nel momento in cui si perdeva palla; il Real così si trovava in superiorità e poteva uscire attaccando in campo aperto. La seconda ragione è un’aggressività non eccessiva da parte dei difensori, più preoccupati nel proteggere la profondità che pronti ad avanzare per portare marcature e coperture preventive più marcatamente offensive prendendo qualche rischio.

Il Real Madrid, invece, non ha disputato un buon primo tempo. Il pressing è stato poco efficace, la costruzione del gioco più basata al mantenimento del possesso senza prendersi rischi. Probabilmente l’intenzione di Zidane era quella di non accelerare i ritmi per poi alzarli nella ripresa, senza forzare le giocate una volta col pallone tra i piedi, provando a rendersi pericolosi in contropiede o attaccando ribaltando velocemente l’azione con movimenti alle spalle di Barzagli. La posizione piatta dei tre di centrocampo ha garantito il consolidamento sicuro del possesso, ma non garantiva la presenza di giocatori alle spalle dei mediani bianconeri; Isco così era l’unico giocatore che si muoveva lungo il campo seguendo il pallone.

Il Real, come sempre, trova il gol nel momento in cui è in difficoltà: la velocità con la quale viene ribaltata l’azione è da manuale, così come i movimenti di Carvajal e di Ronaldo. La Juventus è stata brava a restare calma, senza scomporsi. La buona prestazione nei minuti iniziali, colpendo le debolezze del rombo avversario, ha probabilmente dato tranquillità e fiducia alla squadra: il gol di Mandžukić, azione tecnicamente d’applausi nel corso del quale la palla non cade mai a terra, si sviluppa sulla sinistra dopo un’apertura in diagonale da parte di Bonucci.

Gli ultimi minuti del primo tempo vedono il Real prendere il controllo della gara. Il possesso resta troppo orizzontale, con una manovra a U, ma è stato il momento in cui la squadra di Zidane ha preso ulteriore fiducia nei propri mezzi. Come sempre succede, l’inizio di secondo tempo è stato notevolmente più aggressivo. In molti si sono interrogati chiedendosi cosa sia successo durante l’intervallo ai giocatori della Juventus, ma la risposta più probabile è niente.  Il Real è uscito nettamente meglio, decidendo finalmente di spingere il piede sull’acceleratore. L’allenatore francese ha sicuramente sistemato due aspetti leggendo bene l’andamento della partita. Isco si è mosso meno centralmente e più sulla sinistra in una zona di campo in cui si trovava anche Ronaldo; Barzagli nel ruolo di terzino è stato individuato come l’anello debole, continuando ad attaccare lo spazio alle sue spalle con movimenti in profondità, bombardandolo inoltre di continui uno contro uno a difesa schierata. L’altra mossa tocca il centrocampo con la posizione dei tre di centrocampo che non è più piatta sulla stessa linea: Casemiro viene semplicemente superato e spesso s’alza alla spalle della linea mediana avversaria, mentre Kroos domina tecnicamente e tatticamente la partita facendosi trovare ovunque. Lui è il regista, con Modrić che si muove più sul centro destra.

A una maggiore scaglionamento in campo, si unisce un pressing decisamente più alto, aggressivo che non permette alla Juventus di ragionare. Zidane abbandona il rombo e passa a un centrocampo a 4 con Isco sulla sinistra e il croato sulla destra con i due mediani che lavorano sfalsati: Kroos s’alza e va a chiudere sul mediano bianconero più vicino alla palla, protetto alla spalle da Casemiro. La fisicità del centrocampista tedesco è essenziale nel pressing, così come quella della coppia centrale difensiva permette di controllare un isolato Higuain: l’argentino viene sempre portato lontano dalla porta, rendendolo così di fatto non pericoloso.

La Juventus non riesce a trovare nessuna contromossa: è semplicemente il Real che controlla a piacimento la partita e inizia a tirare con buona facilità. È il momento in cui la squadra d’Allegri perde la Champions: non riesce più a tenere palla, non accompagna l’azione nei pochi contropiede possibili, non si difende in maniera lucida e aggressiva come di consueto, esce mentalmente dalla partita non riuscendo in nessun modo (tatticamente, fisicamente, psicologicamente, tecnicamente) a tenere testa al Real dimostrandosi incapace di soffrire. Il gol di Casemiro è episodico, però è la concretizzazione di un dominio indiscutibile.

La Juventus non è più in gara. Se dopo il gol di Ronaldo la sensazione era quella di una squadra in grado di poter vincere, dopo il nuovo vantaggio del Real il linguaggio del corpo e l’andamento della Finale suggeriscono solamente una conclusione: game over. I bianconeri risentono terribilmente il colpo tanto da prendere subito il terzo gol. Il Real Madrid, da grandissima squadra qual è, sa quando deve affondare e questo è uno di quelli: il dominio tecnico-tattico-mentale è talmente evidente che non può non essere sfruttato. Il terzo gol, il secondo di CR7, è il manifesto di una squadra psicologicamente fuori giri, senza più fiducia e a terra moralmente. Il match tra Juventus e Real Madrid è definitivamente terminato anche se mancano 30 minuti: d’agonia per gli uomini d’Allegri, di festa per quelli di Zidane. Il cambio Cuadrado-Barzagli è tardivo, ma ormai la Finale è diventata un garbage time unico: i bianconeri non ci credono, i blancos non affondano. Il gol del 4-1 finale giunge a babbo morto.

Le conclusioni sono più complesse a questo giro. Non esiste un divario tra la Juventus e il Real Madrid, ma una differenza sostanziale sì. E comprende diversi argomenti. Il primo riguarda la fiducia complessiva: la Juve ha fallito nel momento in cui doveva restare dentro la gara. Non ha saputo soffrire. Non è riuscita a trovare delle soluzioni alternative, tattiche e tecniche. ll Real è una squadra abituata a vincere ovunque, è davvero consapevole delle proprie qualità, si fida dei propri eccezionali mezzi, conscia di poter segnare in qualsiasi momento della partita. La Juventus è svanita nel momento in cui si doveva dimostrare forte. Possibile che tale incapacità di reggere l’urto sia legato anche a motivi psicologici (il panico “la perdiamo “), ma questo è un fattore che può e deve essere preso in considerazione solamente da chi vive il gruppo ogni giorno e conosce a memoria la situazione. Probabilmente Allegri poteva passare alla difesa a 5, così come rafforzare il centrocampo, una volta visto l’andamento dei primi 10 minuti. La differenza attuale tra Juve e Real passa inevitabilmente tra Cristiano Ronaldo e Dybala: il primo è un vincente, decisivo nel momento in cui serve; il secondo è un grandissimo giocatore, giovane, con notevoli margini di miglioramento, non ancora pronto per essere tra i top mondiali. Ha sentito incredibilmente la partita, semplicemente sbagliandola. Lo stesso si può dire della formazione d’Allegri. Da dove si riparte? Dal continuo rinforzamento della rosa, puntando sempre più su giocatori di qualità e di personalità: la panchina bianconera non offre soluzioni adeguate ai massimi livelli, mentre Zidane si può permette il lusso di mandare in tribuna James Rodriguez. Per prendere però fiducia assoluta nei propri mezzi serve non solo alzare la qualità globale, ma stare stabilmente ai vertici livelli, trovandosi sempre a giocare quelle partite. Il CR7 che nel 2009 perse con il ManU la finale col Barça di Guardiola non è quello dominatore d’adesso; lo stesso Real, come il Bayern, hanno costruito nel giro d’anni, passando anche per sconfitte e finali non raggiunte, rose di assoluta qualità. Bisogna abituarsi a giocare queste partite, migliorandosi nel tempo, offrendo ad Allegri maggiori possibilità di ricambio durante la stagione con numero più alto di giocatori offensivi in grado di cambiare l’andamento delle partite. La differenza principale a livello tecnico e tattico, tolto il dominio di Ronaldo, va trovata a centrocampo: la Juventus ha migliorato tutti gli altri reparti, ma non è all’altezza dei top europei in quel settore, specialmente con quello di Zidane dove Kroos e Modrić sono semplicemente maestosi e padroni del gioco, sempre capaci di trovare la migliore posizione per mantenere il possesso e far avanzare il pallone. Un Pjanić mostruoso è l’esempio dei giocatori che servono. Zidane invece si conferma allenatore capace: non solo è un ottimo gestore in grado di infondere certezze e tranquillità, ma è molto abile a leggere le partite. Non sarà un ideologo, un filosofo, non vincerà il premio della critica, ma in un anno e mezzo ha vinto due Champions e una Liga. Semplicemente vincente. Come Cristiano Ronaldo.

Analisi Tattica / Real Madrid-Juve 4-1: Higuain e Dybala non incidono in spazi larghi

Ennesima delusione bianconera, ennesimo trionfo Merengue. Il Real Madrid ha vinto la dodicesima Champions League, confermando una solidità impressionante nelle finali europee. L’ultima sconfitta risale infatti al 1983. E dire che questa sembrava la partita in cui la Juventus potesse invertire il trend.

ALEX SANDRO PRINCIPALE SOLUZIONE OFFENSIVA

 

Contrariamente alla propria tradizione nelle finali, non si può certo incolpare la Juve di approccio timoroso. Anzi, in avvio è stato tendenzialmente il Real Madrid a mantenere un baricentro piuttosto basso, con la costruzione arretrata della Juve sviluppatasi con relativa facilità. I Campioni d’Europa hanno a tratti sofferto l’atteggiamento rivale, perdendo qualche pallone di troppo contro una Juventus determinata e cattiva nell’aggressione alta.

Non ha inoltre aiutato Zidane il fatto che nei momenti di maggior affanno madridisti Casemiro abbia toccato così tanti palloni in zone sensibili.

 

Con le linee centrali ben coperte dal Madrid, nella prima frazione la Juventus ha soprattutto punto sulla fascia sinistra. I centrocampisti blancos si allargavano poco e Isco non sempre ripiegava, in tal modo Carvajal è stato affrontabile. I bianconeri hanno lavorato molto per mandare Alex Sandro al cross: decisivi gli accentramenti di Mandzukic e i frequenti cambi di gioco.

 

Ben 4 cross per il brasiliano nei primi 45′, e l’azione che porta al bellissimo gol del pareggio – meraviglioso anche il lancio di Bonucci – è stato il giusto coronamento di un buon primo tempo.

 

NON SI RISALE IL CAMPO

Già nei primissimi minuti della ripresa è però apparso chiaro come il canovaccio della gara fosse totalmente mutato. I bianconeri non sono più riusciti ad effettuare alcun pressing in avanti, facendosi schiacciare già dal principio. Dopo pochi secondi, il lancio di Marcelo su cui Barzagli non ha letto l’inserimento di Ronaldo è stato il preludio di una fase difensiva che nella ripresa è andata in grossa difficoltà.

 

L’aggressione dei merengue ha letteralmente impedito alla Juve di risalire il campo per tutti i secondi 45′. Il baricentro alto del Madrid ha stroncato la squadra di Allegri, che non è di fatto più riuscita a tenere il possesso in maniera accettabile.

 

Tutto il contrario della squadra di Zidane, che ha iniziato a far girare palla con una pulizia impressionante. Con l’allargamento di Isco e Modric, è stata sfruttata con molta più efficienza l’ampiezza del campo, mettendo in difficoltà la linea a 4 rivale soprattutto sul lato di Barzagli. Insomma, un totale dominio a cui la Juve non è riuscita a controbattere: già dal principio era chiaro come l’undici bianconero non avesse modo di svoltare la situazione. Gli unici tentativi di risalita provenivano da qualche isolato lancio lungo per Mandzukic.

Inoltre, a causa delle frequenti transizioni derivanti dalle molte palle perse, la Juve si è spesso fatta trovare poco compatta, con Isco che tra le linee ha potuto così usufruire di parecchio spazio se confrontato col primo tempo.

 

Il gol di Casemiro, per quanto si tratti di un tiro dalla distanza, non è casuale, bensì una sintesi perfetta di quello che era diventata la partita. In pochi secondi, la Juve ha perso due volte palla: prima Sandro si affida al lancio lungo perché non si ha idea di come risalire il campo e successivamente Alves spreca una interessante ripartenza. I bianconeri si sono così fatti trovare lunghi e attaccabili.

 

Dopo il 2-1, un errore di Mandzukic in ricezione ha lasciato Sandro da solo contro Modric e Carvajal, sul cui cross Ronaldo ha segnato il gol che ha di fatto ipotecato il match.

 

MALE DYBALA E HIGUAIN, MA FUORI CONTESTO

 

Nel post gara ci si è, logicamente, scagliati sui giocatori più talentuosi (Dybala e Higuain), rei di non avere fatto la differenza se confrontati agli assi madrileni. In assoluto le prestazioni degli argentini sono state senza dubbio insufficienti, con una quantità di errori a 360° molto elevata.

Tuttavia, viene da pensare che non siano stati aiutati a dovere per rendere al meglio, che sia stato loro chiesto un qualcosa non nelle proprie corde. Per quanto fenomeni, sono due giocatori da squadra di possesso, non hanno le caratteristiche fisiche e atletiche (ma forse neanche tecniche) per poter pungere in spazi larghissimi. Nel secondo tempo sono stati i primi a patire il baricentro bassissimo della Juve.

Soprattutto Dybala ha toccato palla in zone piuttosto improbabili, e viene da pensare che sia stato un errore nel corso della stagione abituarsi così tanto nel vederlo giocare così lontano dalla porta: Casemiro e le scalate dei difensori centrali lo hanno stroncato.

Higuain, invece, è stato letteralmente sovrastato da un aggressivo Varane, bravo ad allargarlo e a mandarlo in zone dove non potesse nuocere. Va poi detto che, per quanto non fosse aiutato dai compagni, spesso il Pipita ha dimostrato scarsa intelligenza calcistica, andandosi a infilare con la testa bassa in improbabili dribbling senza avere l’agilità di un Morata.

 

Il rammarico non è solo per le prestazioni individuali di Dybala e Higuain, ma anche per il fatto di non aver consentito loro di esprimersi al meglio.

Senza dimenticare la forza del Madrid, la Juventus ha affrontato un’intera ripresa evidenziando a pieno il proprio difetto principale: ossia, l’incapacità (strutturale) di attaccare in spazi larghi. Difenderti così basso già al 45′ puoi farlo in Italia, ma contro un avversario del genere rischia di essere una condanna a morte  E infatti i bianconeri non sono riusciti a reggere in nessuna delle due fasi.

Senza dubbio, visto l’andazzo della ripresa, Allegri avrebbe potuto inserire prima Cuadrado, ma ciò non toglie che a Cardiff si siano visti equivoci tattici che in sede di mercato andranno risolti. Come l’essere tornati a prescindere dalla BBC optando per un atteggiamento più attendista ed un baricentro medio più basso  senza però avere la qualità tecniche per arrivare abbastanza velocemente in porta.

La Juve di quest’anno, che ha trovato una sua forma solo a gennaio, è stata un ibrido che purtroppo non ha pagato nel momento clou della stagione. Ora tocca a società il mister il compito di rendere la squadra più coerente tatticamente di quanto non sia stata nel corso di questa (grande) stagione.

Jacopo Azzolini.