L’algoritmo che uccide il calcio

Per gli adolescenti della mia generazione, quella era l’ora in cui provavi a resistere all’inesorabile avvento del lunedì guardando gli ultimi minuti della Domenica Sportiva. Sentivi già il fiato sul collo dell’inizio settimana e quasi avvertivi la presenza sul divano di casa della professoressa di greco, ma quei brandelli della domenica erano tuoi e sapevi che dovevi sfruttarli. Era il momento delle notizie di coda, notizie minori, dove i risultati del rugby e qualche volta la schedina del totip, la schedina dei cavalli, come la chiamava mio nonno, assiduo scommettitore, anche quelli, ti sembravano interessanti.

La domenica era ormai scivolata, portando con sé la giornata calcistica, tutta insieme, alle 3, ma qualche volta anche alle 2 e mezzo e perché no alle 4, e qualche volta capitava che potevi sbagliare e accendere la radio, sì, la radio, mezz’ora dopo.

Poi era stato 90° minuto, nel pomeriggio, le prime immagini, poi la DS con le interviste, ma quel momento, quello in cui non volevi arrenderti, quello intorno alle 11 di sera era forse il più dolce. Ti era rimasto negli occhi il frame di quel gol bellissimo, di quella parata da urlo, di quel dribbling folle. E sapevi che, per rivederlo, dovevi aspettare e chissà se ti sarebbe ricapitato.

Ma, intanto, mentre il cervello era già proiettato al lunedì, il tuo cuore provava a dare un nome a quelle emozioni, tutte tue, tifoso di una squadra lontana, vissuta attraverso i poster del Guerino e la voce di CarlonestidaTorino, tutto attaccato.

Mi è tornato in mente tutto questo, qualche domenica fa. Quando ho capito una cosa terribile: che quello spazio, quello delle pieghe della settimana che finisce, quello spazio che una volta era riservato alle emozioni e ai sogni, era stato occupato da uno dei nemici maggiori del calcio. Era stato occupato dai numeri, dall’ALGORITMO di Caressa su Sky Calcio.

Sarà che chi vi scrive non ha mai avuto tanta dimestichezza con i numeri (quella povera donna della professoressa di matematica del ginnasio è andata in pensione senza avere mai avuto la soddisfazione di darmi una sufficienza) ma insomma: da qualche tempo, la domenica sera è territorio di professoroni che sparano cifre e numeri talvolta senza senso.

Già l’anno scorso, un uomo canuto e man mano sempre più ingobbito dal peso dei suoi numeri si era spinto a dire: “trovo statisticamente insopportabili tutte queste vittorie consecutive della Juve. Non ci sono e non esistono, per cui io resto aggrappato alla mia piccola scienza”. E vabbè.

Ma mi è bastato frequentare un paio di volte quel territorio, o recuperarlo sui social, per capire che la deriva che è stata intrapresa è davvero pericolosa: che senso ha proporre a commento di una giornata calcistica, ricca di ogni cosa bella, calcoli delle prossime giornate basate su improbabili condizioni, slegate completamente da quello che fa del calcio lo sport appassionante che amiamo, il tutto, corredato con un laconico “questa è scienza!”?

Ora, siccome non è che chiunque possa arrivare in televisione e dire quello che gli capita per la testa senza un minimo di riscontro, io me le sono segnate e le ho verificate.

Dunque, dicevano gli amici al club: se il Napoli non prende gol o segna un gol, vince. Bene, forse non gliel’hanno detto alla Lazio e al Sassuolo che si sono permessi di fare 1-1; se il Milan incassa un gol, perde. Non so, ma forse può essere la base per un ricorso da parte di Palermo, Inter ed Empoli che il gol lo hanno segnato ma non hanno vinto; se la Roma non prende gol vince, se prende gol non può vincere. E forse era da intendere “senza il solito rigore col Pescara”, perché se no almeno questa l’avrebbero presa; se la Juve subisce un gol in ognuna delle prossime tre partite ne vince solo una su tre. E qui avrei tanto voluto avere il numero di telefono della mia professoressa di matematica per chiederle scusa per non aver studiato, impreparato!. Perché, oggi, non so dire che cosa succede in questo caso, quello in cui non si è verificata la condizione, perché la Juve ha preso gol solo in due delle tre partite in esame, ma se lo avesse preso anche col Pescara non sarebbe cambiato nulla, avendo vinto 3-0.

Insomma: non ne hanno beccata una! Solo che mica verranno in tv a chiederti scusa, a dire che effettivamente era una cosa fatta così per prendersi in giro? No, ti riproporranno tra qualche giorno una improbabile classifica con le virgole e i mezzi punti, tanto chi vuoi che vada a controllare?

E allora, senza voler andare a scomodare il sempre sia lodato ragionier Ugo Fantozzi e il suo commento a “La Corazzata Potëmkin” la domanda diventa:

a chi giova ridurre il calcio ad una serie di numeri? Qual è il senso di questa meccanizzazione del calcio, questo volerlo ridurre ad una scienza esatta?

La parata di Buffon col Lione, ad esempio, come si inserisce in tutto ciò? E se Cuadrado scarta anche la curva del Chievo e poi mette fuori, quale variabile è? E se Higuain sale in cielo, stacca alla perfezione e il portiere del Siviglia invoca Sant’Isidoro, patrono della città andalusa, che, impietositosi, indirizza la palla sulla traversa, quale delle opzioni è? E Rizzoli col Milan, dico, lo avete calcolato? Così, per sapere…

Cari amici, fermiamoci se siamo ancora in tempo; se c’è una cosa che fa di questo sport il più amato del mondo è esattamente la sua imprevedibilità. Facciamo finta che abbiamo scherzato, ok? E proviamo a recuperare, tutti insieme, la semplicità del gioco del calcio, quella che regalava sogni e magie al ragazzo adolescente negli anni ottanta.

Perché quello che sognano tutti i bambini sui campi spelacchiati degli oratori sono le magie di Dybala e gli anticipi di Barzagli.

Guai se cominciassero a sognare gli algoritmi.

Francesco Alessandrella