Tutta la verità sullo Stadium e sul patto col Comune ed il Torino

di Emiliano Lemma

Da dove nascono le leggende metropolitane sulla Juve che avrebbe ricattato il Comune di Torino per lo Stadium? Qual è la vera realtà sulle bufale legate al regalo del Comune delle aree della Continassa?

Sto per raccontarvi la curiosa storia di un articolo apparso su uno sconosciuto blog (il mio) “I Faziosi”, nel “lontano” 2013 e diventato fonte di valore per tifosi, intellettuali e giornalisti di fama nazionale. Un post di 6 anni fa scritto da un tifoso del Toro (mio socio) in risposta ad mio articolo sullo Stadium, che negli anni ha contribuito ad alimentare la leggenda in base alla quale la Juventus avrebbe ottenuto dal Comune di Torino un regalo, utilizzando l’arma del ricatto.

Credo sia giunto fare chiarezza su quel post: “Stadium, non regalato ma costruito sul fallimento Torino”.

Il pezzo era una risposta faziosa e scarsamente documentata ad un mio articolo (“La leggenda dello stadio regalato alla Juve“) che confutava alcune fake sulla vicenda Stadium. Ebbene, mai avrei pensato che quel post anti-Juve nel corso degli anni sarebbe stato letto da oltre 72.000 persone (più le condivisioni social).

Ma procediamo con ordine. Quale sarebbe le colpa della Juve, evidenziate dal famoso articolo?

Aver voluto, cosa inedita in Italia, uno stadio di proprietà. Nel post si racconta come la Juve, nonostante il basso affitto del Delle Alpi, avrebbe voluto uno Stadio tutto suo per trarre maggiori profitti, come qualsiasi big d’Europa. Colpa gravissima!

La seconda colpa è aver fatto apparire il glorioso Delle Alpi come fatiscente e inadeguato nonostante i 160 miliardi di lire spesi. Chiunque lo abbia frequentato sa bene quanto fosse scomodo, freddo, enorme, sporco e incapace di far godere uno spettacolo sportivo. Eppure secondo i detrattori della vicenda Stadium, il Delle Alpi era un gioiello. Strano che in realtà fosse odiato sia dai tifosi Juve, che spesso si sobbarcavano lunghi viaggi per guardare una gara col binocolo al gelo -basti dire che in una semifinale di Champions non si raggiungevano i 30.000 spettatori-, sia ai granata che mal sopportavano uno stadio periferico, considerato un insulto alla storia del club.

La terza colpa della Juve è stata quella di imporre un patto scellerato a Comune di Torino e Torino (che entrambi hanno sottoscritto, eppure la vulgata è che “siano stati costretti”):

– alla Juve andava lo Stadio Delle Alpi e i terreni,
– al Toro lo stadio Comunale,
– al Comune andavano soldi (dalla Juve) e risparmi (grazie alla ristrutturazione del Comunale da parte del Toro, che sarebbe tornata utile in vista delle Olimpiadi).

Un accordo deliberato dal Consiglio Comunale di Torino .

Dov’è la colpa? Quale altro accordo sarebbe stato possibile, vista la differenza di fatturato dei due club?

Il Toro poteva ottenere qualcosa di meglio di uno Stadio in centro, un fortino per i suoi tifosi di città?
La Juve, con risorse e ambizioni diverse, poteva essere costretta a giocare al Delle Alpi?
Il Comune, oltre ad intascare 25 milioni dalla Juve, a vedersi riqualificata un’area (la Continassa) e avere due stadi moderni (a spese dei club), poteva firmare un accordo migliore?

La storia prese una piega inaspettata col fallimento del Torino che costrinse il Comune a ristrutturare il Comunale a proprie spese (per 30 milioni!), mentre gli accordi prevedevano l’addebito a carico del Toro. La realtà dice che quell’accordo fu il migliore possibile per tutte e tre le parti:

– La Juve avrebbe avuto il proprio stadio con area commerciale da sfruttare,

– Il Torino avrebbe avuto il proprio catino glorioso in centro, da associare poi al Filadelfia (a spese quasi totali dei contribuenti “grazie” al fallimento della società) senza oneri per la nuova società,

– Il Comune di Torino avrebbe avuto: a) lo Stadio sede delle Olimpiadi (ristrutturato a carico del Torino, anche se poi dovette pagarsi i lavori visto il fallimento del Toro); b) un nuovo Stadio cittadino moderno in grado di attirare turisti e indotto ogni settimana (cfr dati del turismo del J-Museum); c) una zona periferica in pieno degrado trasformata in area commerciale e molto frequentata, con indotto anche in termini di imposte comunali. d) soldi (della Juve).

Perfino un De Magistris, avrebbe firmato col sangue un simile accordo con l’odiata Juventus!

Infine tocca smentire altri tre deliri anti-juventini, alimentati sempre dal famoso articolo iper-condiviso che per primo parlò della vicenda Stadium:

Lo sfruttamento dell’area commerciale

Sappiamo benissimo oggi che l’unica motivazione per costruire uno stadio di proprietà è legato alla possibilità di sfruttarne le aree commerciali adiacenti. Sta capitando a Roma, capiterà a Milano: se si intende dotare di impianti adeguati uno sport che produce una parte importante del PIL del Paese (oltre al valore “emozionale), occorre trovare investitori che hanno l’interesse di sfruttare le aree commerciali.

La Juventus l’ha fatto da sola: ha investito centinaia di milioni, distogliendoli dal player trading (come altre proprietà di club storici in Italia) e costruito il proprio stadio ora fonte di profitto sia per il club, sia per la città di Torino, grazie all’indotto generato.

Il riutilizzo dei materiali del Delle Alpi

Questi cattivoni della Juve anziché utilizzare milioni di metri cubi di cemento e tonnellate di acciaio per lo Stadium hanno “riciclato” parte dei materiali del Delle Alpi. Non sarebbe stato meglio usare altro cemento, altro acciaio? E poi liberarsi dei materiali avanzati, sotterrandoli da qualche parte? E’ incredibile, anche la sostenibilità ambientale, quando c’è di mezzo la Juve, diventa “scaltrezza”.

La leggenda della Continassa

Il top è rappresentato dalla bufala sulla Continassa per la quale il Comune avrebbe regalato un’area di 350 mila mq alla Juventus per la ridicola cifra di 0,58 centesimi a mq. Perché è una leggenda? Intanto perché l’area, come quella su cui sorge lo Stadium, NON è stata acquistata dalla Juventus ma le sono stati concessi i diritti di superficie per 99 anni, al termine dei quali torna di proprietà del Comune, e poi perché bisognerebbe conoscere un po’ meglio i fatti.

La Continassa verteva in stato di totale abbandono dagli anni ’50. La zona era tra le più malfamate, dell’estrema periferia al confine con la zona industriale di Venaria. Tale era lo stato di abbandono da essere sede di attività illegali di ogni tipo: prostituzione, discariche abusive e campi rom.

Grazie alla bonifica a proprie spese da parte della Juve, Torino ha riscoperto un’area che non sarebbe mai stata riqualificata né a spese del Comune né ad opera di altri investitori privati (basti vedere le aste andate deserte per la vendita, nemmeno i diritti di superficie). Inoltre grazie alla Juve è stato recuperato un patrimonio come “la Cascina della Continassa” sede della società ma, di proprietà del Comune e bene della collettività. Chi si scandalizza per i 0,58 centesimi dovrebbe farsi un giro alla Continassa di oggi e chiedere a quelli del posto per farsi raccontare cosa ci fosse lì qualche anno fa. E chiedere come mai nessuno si fosse fatto avanti per costruire in quella zona, bonificando e riqualificando l’area.

Marco Bellinazzo (non un tifoso juventino), sul Sole 24 Ore scrisse un articolo che chiariva la vicenda.

Riassumendo, il Comune di Torino, quello “ricattato” dalla Juve, ha ottenuto dalla vicenda Continassa:

1. La riqualificazione di un’area degradata fin dagli anni ’50 (con bonifica a spese della Juventus).
2. La ristrutturazione di un’opera di interesse pubblico, la Cascina della Continassa.
3. Una diminuzione della criminalità in una zona un tempo terra di nessuno.
4. 11,5 milioni di euro in diritti di superficie;
5. 7 milioni di opere di urbanizzazione.
6. L’indotto in termini di imposte comunali dalle attività commerciali;
7. I vantaggi derivanti dall’indotto dell’incoming turistico e dall’occupazione di dipendenti.

Peraltro tra qualche decennio tornerò in possesso del tutto, magari con nuovo accordo economico remunerativo a vantaggio della collettività.

La Juventus ha fatto da apripista anche per quanto riguarda lo stadio di proprietà. Questo dice la storia. Spero, con questo articolo di aver contribuito a rimettere ordine sull’argomento.

Se non siamo più innamorati dello Stadium

scontento

Quanto dura in media il periodo dell’innamoramento?

Nove mesi? Un anno? Un anno e mezzo, a voler esagerare?

Qual è il momento esatto in cui la scintilla si spegne e si ritorna gradualmente alla cocente normalità? Per anni abbiamo chiamato Effetto Stadium quella sensazione disarmante ai danni dell’avversario di non poter nulla di fronte a una bolgia bianconera che ha finalmente trovato una casa, complice il fatto di essere stati, ed essere tutt’ora, l’unica grande squadra italiana con uno stadio di proprietà.

Non a caso, la striscia consecutiva di scudetti vinti dura al momento quanto gli anni di vita dello Juventus Stadium, la cui presenza, numeri alle mani, è stata fondamentale per una cavalcata che a tratti è sembrata inarrestabile. Le lune di miele, però, hanno una data di scadenza e anche se in questo caso il periodo di infatuazione tra tifosi e stadio ha demolito qualunque statistica, il rapporto si è visibilmente ridimensionato. Così, senza avvisare, perché come diceva un grande saggio, le epoche si chiudono all’improvviso.

Ci sono due elementi da prendere in considerazione e il primo sono i numeri, che come leggi e rileggi, giri e rigiri, hanno sempre qualcosa di straordinario, come i 12 mesi di imbattibilità in trasferta relativi al 2018. Partite, vittorie, qualche volte inutili, e prestazioni che farebbero tanto sorridere se non ci venisse immediatamente in mente che i corrispettivi casalinghi hanno spesso assunto la forma di un film horror, tranne per la rovesciata di Ronaldo, che però a oggi vale come enorme senno di poi. Madrid, Londra e Napoli, solo per citare gli esempi più eclatanti. Lo scorso anno, quindi, era già abbastanza evidente come l’Effetto Stadium stesse già esaurendo i suoi colpi. Per carità, abbiamo collezionato sempre numeri enormi, ma il timore che ha preceduto la sua fama, soprattutto in Italia, ha lasciato il passo ad altro, a una sensazione di fine se è difficile da spiegare. Quand’è, se è successo, che è iniziato questa sorta di disinnamoramento? Quand’è che varcare quelle porte è diventato tutto sommato normale? Quand’è che abbiamo smesso di tifare con la stessa foga con cui lo fanno gli altri? Quand’è che abbiamo iniziato a dare speranza agli avversari?

È qui che entra in ballo il secondo elemento, il tifo.

Vero, i tifosi avversari hanno sempre messo la freccia e superatoci in coreografie, cori e partecipazioni, ma questo non è mai stato un problema rilevante, ancor meno adesso, tanto che venire allo Stadium era ed è comunque motivo di inquietudine e ansia, nonostante striscioni e festeggiamenti meno belli, fatiscenti ed esplosivi.

Sabato sera, però, durante Juventus-Parma, in un seggiolino a solo mezzo metro dalla Curva Sud, ho avuto la conferma a un sospetto che da tempo mi aleggiava in testa davanti alla tv: l’infatuazione è finita ed è subentrata la routine. Tutto sempre bello, bellissimo, per carità, ma tifare si è trasformato in ordinaria amministrazione, pure nei momenti più complicati, quelli in cui la paura ti spinge a intimidire gli avversari, a ricordargli che in fondo sono loro gli ospiti e che siamo noi quelli che sappiamo se le forchette vanno nel secondo e non nel primo cassetto.

Attenzione, niente di preoccupante o drammatico, solo che a oggi lo Stadium è meno fortezza quasi espugnabile di qualche anno fa e il fatto che una squadra come Parma sia riuscita a rosicchiare un punticino, rimontando un 3-1, fa decisamente più impressione di una tranvata in pieno volto presa dal Real Madrid, che comunque come la metti sempre tranvata rimane.

È semplicemente finita la luna di miele, com’era facile pronosticare, ed è iniziata una nuova fase, una fase in cui si lascia qualche speranza in più agli avversari, contando di lasciargli solo quella.

Finimmo prima che lui ci finisse
perché quel nostro amore non avesse fine