Agnelli e l’inutile strategia del silenzio

ANDREA AGNELLI, fortunatamente, non è italiano. E’ sabaudo, per giunta imprenditorialmente, istituzionalmente un Savoia, quindi della Real (sua) casa. Da un millennio a quella parte i Savoia, poi sardo-piemontesi, sono stati francesi, e quella lingua parlarono: anche nel primo discorso ufficiale (pensa tu) dopo la presunta Unità del Regno, l’incontro a Teano con Garibaldi e altre favole del genere eccetera.

Le radici sono importanti, pensò il capocantiere John Elkann nel 2006, dopo aver scaraventato la Triade della rinascita e del dominio in pasto agli sciacalli. L’amato tennis (egli si dilettava) coincide, rifletté John; per cui affidò le sorti della fastidiosa zavorra juventina al suo palleggiatore da fondo con problemi sulla volée di rovescio: Jean-Claude Blanc da Chamberly, già parecchio bravo a vendere i ghiaccioli alla menta per le Olimpiadi invernali di Albertville. Gli mise accanto il prestigioso, competentissimo Cobolli Gigli, che oggi ama farsi intervistare da Radio Kiss Kiss per poter dichiarare che lui aveva previsto tutto e che infatti prendere Ronaldo è stata per la Juve una tragedia; oltre che Alessio ‘work in progress’ Secco, promosso da garzone a intenditore di prosciutti (Tiago, Andrade), che non so quale circolo della simpatia un anno dopo riuscì a premiare come “miglior diesse italiano” e che oggi, non so neanche questo, spero umanamente non si sia ridotto a fare il fornitore di toner per le fotocopiatrici delle distinte nella terza serie di futsal femminile. Che non sia inoltre costretto a chiedere, come qualche noto indigente onorevole, il reddito di cittadinanza. Però. Si sa mai. Un contributo. Forza Alessio.

LE TRAME con lieto fine previsto e beneaugurato stanno andando in onda in tutti questi giorni da ridere, non fossero da piangere, e hanno tutte l’epilogo di opere magistrali come ‘Lacrime napulitane’, quando Salvatore/Merola riabbraccia famiglia e amorevole bimba; oppure ‘Zappatore’, quando Francesco/Merola e sua moglie Maddalena ipotecano casa per pagare gli studi al diletto Mario, che però s’innamora di Nancy, l’industriale americana (“felicissima sera a tutte ‘sti signure ‘ncravattate…”). Andò a Napoli, Petrarca, nel 1341, per sostenere l’impossibile esame da Poeta alla corte di Roberto d’Angiò: e riuscì a superarlo. E’ Napoli che, nei secoli, ci ha dato musica e storia, arte e ribellione, lirica e dolcezza, cronaca e narrativa, Serao, Di Giacomo e Marotta giusto per avvicinarci, Eduardo, il genio di Totò, Troisi, Pino Daniele, Pazzaglia, Teresa De Sio e quanti ne lascio fuori, chiedo scusa. Avevano De Crescenzo, il neosocratico di Bellavista, e adesso hanno de Giovanni, il calcionapolista dei Pizzofalcone, pensa tu. Avevano e avrebbero Edo Bennato, e adesso Gigi D’Alessio: proponete un confronto. E’ a Napoli che devo, se mi si può perdonare quest’unico passaggio, alcune tra le persone migliori che abbia conosciuto (Gianni, fratello mio), che frequento e che mi migliorano la vita. Ma da quella Napoli a questa scorre ormai un fiume di detriti discaricati a valle: tranne quando non accorre il Ciuccio a rigobbarseli sul basto. Ci avete mai fatto caso? Si odiano, se c’è da salvare la cadrega o da battersi per l’orticello. Se ADL porta a spasso il covid come il suo barboncino, Giggino ‘a manetta’ De Magistris urla che il comportamento è stato, come minimo, “censurabile”; negli stessi giorni attacca il governatore De Luca sulla gestione ospedaliera della pandemia, definendola “una pulcinellata”. ADL, ossia De Laurentiis, devoto sostenitore elettorale di De Luca, ce l’ha invece con Giggino per la convenzione del ‘San Paolo’ e gli manda ‘sto pacco: “Devi avere la forza di dire che sei interista”, aggiungendo: “C’è una sola persona che conduce reiterati attacchi alla città e ai napoletani”.
Tuttavia, come canta Gabbani e non quell’altro Aurelio (Fierro).
Tuttavia al dunque il pallone napolista li rimette tutti d’accordo, i confratelli rimbalzanti, guancia a guancia, bocca a bocca, lingua e lingua. Un po’ come la storia del rinvio per bel tempo (guarda un po’, daccapo la Juve) del novembre 2011.
Se c’è il pallone, il loro pallone, all’improvviso ritrovano, ripescano, reinventano unità, e per favore non teniamo fuori dal cerchio altre entità istituzionali, magari le Asl. Se no si perdono un giro.
Non tacere, l’amico ti ascolta.
Del resto, l’ultima residuale zattera della tradizione vi conforta. Pulcinella è sopravvissuto, inalterato, inalterabile. E lotta insieme a voi.

LA BURLA sta per andare a finire come da subito è stato ovvio che fosse, cioè con il finale delle ‘Lacrime napulitane’, ma se preferite va bene pure lo ‘Zappatore’: “… si abballo e chiagno dint’a casa mia”. Siccome, siatene certi, “o zappatore nun s’a scorda ‘a mamma”. Mani mediatiche, interessate, governative e prodighe hanno preso sin dall’inizio con sé le sorti di Salvatore, Maddalena, Francesco e non mi ricordo più. Ah, sì. Aurelio. Leggetevi bene sin dall’inizio i tartufi di Spadafora, Gravina, Ricciardi e lo stesso Pazienza.
Capolavori.

Andrà come sappiamo: un punto in meno al Ciuccio, da rendere nullo previo ricorso e ammenda di un panzerotto (ma nel più rinomato e costoso cuoppo di Spaccanapoli, eh: almeno venti centesimi di sovrapprezzo).
Partita da rinviare, come auspicato sul CorSera di lunedì 5 dal ministro Spadafora (“Ideale una soluzione condivisa”).

Il protocollo? Che minchia è? Il quaderno? I fogli del compito in classe? Entrassi nel dettaglio, mi sovrapporrei con perdite al pezzo di Sandro Scarpa (‘Pandemia Juve’) e a quello di Andrea Bosco su TuttoJuve (‘Ordalia da chiagni e fotti’): perfezioni a sé stanti. Mi limito a resocontare ciò che tutti sanno sin dal telone sul palcoscenico, avallato domenica 4 persino da Xavier Jacobelli, il direttore di TuttoMilan(o): “La Asl ha fatto bene”.

gnelli non si opporrà.
Non dirà a, né bi.
Non difenderà la Juve.
L’ha resa ciò che è: grande, e non finirò mai di ringraziarlo.
Ecco perché siamo fortunati che non sia italiano. Quale altro manager di queste valli avrebbe potuto risollevarci dalla merda che avevamo sino al collo? Gratitudine eterna.

TRANNE CHE Agnelli tace, e fa tacere: i suoi.
Non ribatte, non obietta, non querela, non sguinzaglia.
Permette che sia Paolo Bramardo, su TuttoMilan(o), a rispondere sabato 10 per le rime a De Luca, che in una merolata vergognosa lo chiama “meschino” e lo apostrofa “senza onore”. Tace e fa tacere i suoi sudditi quando nel giro di dieci giorni scarsi veniamo accusati in serie di un crimine dietro l’altro, da Suarez ad Han alla diaspora degli untori in giro – Ronaldo in primis – per il mondo con le loro nazionali. Tace e fa tacere i suoi legali anche se siamo costretti a leggere, sul ‘Fatto’, (Ziliani), che il nostro ormai dovrebbe ribattezzarsi ‘Ndrangheta Stadium. Tace se Commisso e Cairo ci tirano addosso quelle farneticazioni che sapete, tace se il napolista Pecoraro (riguardatevi l’ospitata notturna da Marzullo), due anni dopo tenta di ripescare il celebre mancato secondo giallo a Pjanic in Inter-Juve, non avendone alcun diritto (fattispecie Var) neanche quando era a capo della Giustizia sportiva, figuriamoci da ex; tace e fa tacere il suo ufficio stampa, di cui non capisco a questo punto l’esistenza, davanti al tweet di Varriale che avalla le ingiurie sboccate di uno sgherro qualsiasi. Tace davanti a Sconcerti che compiace l’emittente napolista per una platea a gettone e declama: “Juve merda!”. Tace e fa tacere se Caressa pretende che il rigore contro la Juve (Bernardeschi a Cagliari: c’era) dovesse essere concesso “per un fatto sociale”. E sta zitto, senza rispondere bah, davanti alle requisitorie desolanti e comiche dei vari Moratti, Zazzaroni, Monti, Pistocchi, Padovan (che però porta bene), Liguori, Diaconale, moviolisti assortiti, antijuventini militanti e assoldati.
Perché?
E’ un pavido? Un cagasotto?
Assolutamente no.

LA REALPOLITIK secondo Andrea è un concetto personale e rivisitato. Mette insieme l’aplomb familiare tipicamente anglosassone, l’arte della guerra di Sun Tzu per come lui crede di averla capita e la poetica manageriale americana che certo conosce un milione di volte meglio di un ignorante come me. Compreso con evidenza che i Savoia non possono più lucrare nulla dai francesi almeno dai tempi di Napoleone III, il nostro ha aggiornato i confini aviti e si è dato alla filosofia esotica. In sostanza, cioè in soldoni (meglio): bisogna sapere (Sun Tzu), per le vie “che portano al successo”, “quando si può o non si può combattere”.

E’ anche una linea-guida molto americana, parafrasando: non disperdere energie in lotte che sai di perdere, o che non sei sicuro di poter vincere. Conservale semmai per gli scopi che ti interessano di più, e che ti faranno guadagnare meglio: siccome il nemico si ritroverà distratto, allentato, magari addolcito dalla tua remissività precedente.
Andrea ha solo finto di voler impugnare Calciopoli: sapeva che non c’era verso e ci ha lasciati soli col nostro buco nel cuore.

Andrea ha solo finto di voler portare avanti l’istanza a danni avverso la Figc (444 milioni), risposte buone solo per i piccoli incazzati azionisti: e ci ha lasciati soli col nostro cazzotto nella pancia.
Andrea ha sempre taciuto, anche qui, davanti alla gragnuola di invereconde incompetenze con cui l’acquasantiera della Figc ci ha ucciso ogni volta.

Di Tavecchio nel 2014 Andrea, che sosteneva Albertini, disse: “E’ impresentabile”. Meno di tre anni dopo, da sconfitto mazziato ed esultante, si corresse: miglior soluzione possibile, “serve dialogo per crescere insieme”.

Ma ora ‘sta strategia del silenzio, che senso ha? Che senso conserva? Non ha letto sino in fondo il suo caro Sun Tzu? “Non mostrarti mite”; e anche: “Se ti difendi sei più forte”.

Se finalmente reagisse, se finalmente parlasse, se finalmente ci rappresentasse, in una situazione in cui è evidente che siamo sotto attacco, dato che Calciopoli non è finita mai, cosa penserebbe di rischiare?

Che possa andar peggio? Peggio di così?
Che media e Antijuventinismo Costituito possano raccogliere e sfruttare argomenti in più?
Da ridere. Presidente, ibidem: peggio di così.
Scrisse Benjamin Franklin (1706-90), padre fondatore degli States e inventore del parafulmine: “La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a colazione, la libertà è un agnello bene armato che contesta il voto”.

Perciò armi (anche) la lingua, presidente: Franklin parlava di lei. Vedrà, le gioverà al fegato. Oltre che alla pancia di noi straccioni innamorati a vita, per quanto possa fregargliene.
E a ciò che resta – sempre se le interessa – del nostro cuore.

Di Marco Tarantino