Juve-Benevento come metafora della vita

Juve-Benevento come metafora della vita: quando sei convinto che otterrai qualcosa senza sforzo, così, per grazia ricevuta, sappi che quella cosa non arriva mai. A meno che tu non soffra, non capisca che non te le regalerà nessuno, non moltiplichi gli sforzi. A quel punto, probabilmente, la otterrai sul serio.

Juve-Benevento come simbolo di 120 anni di storia, nel giorno della festa dei 120 anni: la voglia di specchiarsi beati la lasciamo agli altri, quello che conta è fare punti, anche in una giornata apparentemente stregata. Quella vecchia storia sull’importanza del vincere, più di ogni altra cosa.

Juve-Benevento come sintomo di preoccupazione: prendiamo sempre gol al primo tiro, è vero, creiamo tante occasioni fino al vantaggio, ma poi torniamo in apprensione, ci facciamo anticipare, imprecisione, palle buttate via, affanno fino al fischio finale. Con un pensiero costante a Blanchard, sull’ultimo calcio d’angolo, in milioni di case italiane.

Juve-Benevento primo vero segnale negativo su Dybala: le partite giocate male possono capitare, considerato quante ne gioca in modo splendido; i rigori sbagliati fanno imprecare, ma sono rigori tirati, prendendosi le proprie responsabilità, sono normali situazioni di gioco, cose che capitano; le punizioni dalla sua posizione preferita non tirate e lasciate a Douglas Costa e Higuain, invece, no. Sono appunto l’annuncio al mondo di un momento nero, in cui sembra meglio defilarsi che, eventualmente, sbagliare ancora. E invece no, Paulo, meglio prendersi le responsabilità a costo di sbagliare ancora, perché così il periodo nero passa prima e torni in un attimo a quelle prestazioni super di inizio anno (cosa che comunque accadrà tra poco, nessun timore).

Juve-Benevento che “vedi? Non siamo al meglio, le altre si esaltano eppure quasi senza accorgercene siamo già lì, attaccati alla prima: dai tempo al tempo…”.

Juve-Benevento che “giochiamo troppo male; vedrai, a dicembre abbiamo Napoli, Inter e Roma: se giochiamo così non ne vinciamo neanche una”.

Juve-Benevento come esempio delle fesserie che ci tocca sorbirci da una vita, sulle avversarie che, “chissà come mai”, “stranamente”, “ogni volta”, insomma, si scanserebbero, non darebbero tutto, mentre noi sappiamo (ma da 120 anni, eh, mica da ieri) che è quasi sempre il contrario: quella con la Juve è la partita attesa da praticamente ogni tifoseria per tutto l’anno. Spesso basta vincere quella per salvare una stagione. Ieri è stato solo l’ultimo tra mille casi: bravo Benevento, coperto, attento, concentrato per 95 minuti; bravi i suoi tifosi, che hanno cantato incessantemente per tutta la partita.

Juve-Benevento come esempio delle fesserie che ci tocca sorbirci da una vita, parte seconda: gli arbitri. “Dai, soprattutto in casa vostra sono condizionati”, dicono i più moderati, quelli che non pensano all’eterno complotto pro Juve (questi non li prendiamo neanche in considerazione, subcultura fin troppo diffusa). Ecco, chi può riguardi la partita di ieri, a proposito di condizionamenti e sudditanza: ancor più che il rigore non visto, la comica ammonizione di Higuain per uno sgambetto subìto al limite dell’area. Gli errori capitano, da una parte e dall’altra, inutile pensarci troppo.

Juve-Benevento che “quanto è bella questa maglia…”.

Juve-Benevento che “ma che barriera abbiamo messo?”.

Juve-Benevento che “Cuadrado a volte mi fa arrabbiare, ma lo vorrei sempre dalla mia parte”.

Juve-Benevento che “Pipita, spiegalo al tuo grande amico che i momenti negativi passano in fretta e si ricomincia a metterla dentro da ogni posizione”.

L’importante, caro Paulo, è non smettere mai di provarci.

Il Maestro Massimo Zampini