JUVE DA IMPAZZIRE!!!

Vittoria incredibile a San Siro. Bianconeri in vantaggio, ripresi, superati e capaci nel finale di ribaltare il risultato in tre minuti

Non date mai nulla per scontato con la Juve. Se eravate già proti a darla per finita, a dare per deciso il campionato, bene, avrete imparato cosa vuol dire quel motto, “fino alla fine”, che negli ultimi tempi si era rivoltato un po’ contro, ma che questa sera è tornato, con prepotenza, solo ed esclusivamente bianconero. La Juve rimane in vetta al campionato e anzi, allunga momentaneamente a quattro punti il distacco dal Napoli, superano l’Inter a San Siro al termine di una gara folle, che Douglas Costa e l’espulsione di Vecino sembrano mettere subito in mano alla Signora nel primo tempo, ma che invece si ribalta completamente e aspetta il finale per regalare una grandinata di emozioni.

IL LAMPO DI COSTA

Ma partiamo con ordine. Dalla vigilia per la precisione: Allegri conclude la conferenza annunciando  “giocheremo solo con due centrali, senza terzini,”. Tutti pensano a un battuta e in effetti il tecnico si alza sorridendo.Quando si legge la formazione però, con Cuadrado e Alex Sandro sulle fasce, qualche dubbio che facesse sul serio viene. E quando si vede l’atteggiamento con cui i bianconeri iniziano la gara, i dubbi svaniscono. Non è un caso che partano proprio dal piede di Cuadrado prima un traversone per la testa di Mandzukic, la cui sponda non trova pronto Matuidi alla girata, poi l’assist per Douglas Costa, che controlla e incrocia il sinistro, fulminando Handanovic.

INTER IN DIECI

Non c’è neanche il tempo di guardare il punteggio sul tabellone che Vecino, appena riparte il gioco, entra con il piede  martello sulla caviglia di Mandzukic e, dopo l’intervento del Var, rimedia il rosso, lasciando i compagni in dieci. L’Inter ci mette l’anima e impegna Buffon con il destro di Candreva da trenta metri, e anche se la manovra dei bianconeri sembra fluida, manca sempre un po’ di precisione negli ultimi venti metri. Il raddoppio arriverebbe nel recupero del primo tempo con Matuidi, ma il gol viene annullato dopo un altro intervento del Var, per posizione irregolare del francese. Cosìi va al riposo con il distacco minimo, ma anche con la sensazione che la gara sia in bilico.

UNO-DUE DELL’INTER

E infatti, in avvio di ripresa, l’Inter pareggia: il calcio di punizione di Cancelo dalla tre quarti trova Icardi in area e l’argentino gira di testa nell’angolo più lontano, infilando il pareggio. La Juve sembra scossa e Rafinha impegna ancora Buffon con un destro dal limite. Allegri interviene al quarto d’ora, cambiando Khedira con Dybala e passando al 4-2-3-1. I bianconeri hanno subito un’occasione d’oro con Higuain che, lanciato da Alex Sandro, arriva in area e supera Handanovic, ma calcia a lato. Nonostante la superiorità numerica però i bianconeri fanno fatica a contenere l’Inter e lasciano troppo a lungo l’iniziativa agli avversari, che al 20′, ne approfittano: Perisic se ne va sulla destra, saltando Cuadrado e crossa rasoterra nell’area piccola. Non ci sono nerazzurri pronti a intervenire, ma Barzagli, che vedo all’ultimo il pallone, non riesce a frenare la corsa e tocca nella propria porta.

UN FINALE DA JUVE

Fuori Mandzukic e dentro Bernardeschi, questa la risposta di Allegri, e la reazione della Juve  è rabbiosa: Douglas Costa arriva al tiro, trovando Handanovic pronto sul primo palo, poi è Dybala a costringere il portiere nerazzurro al volo, per togliere la sua punizione dall’incrocio. L’ultimo cambio è Bentancur per Pjanic, ma c’è poca lucidità nelle azioni dei bianconeri, che troppe volte sbagliano negli ultimi metri, o per un eccesso foga, o perché aspettano troppo a concludere. In questi casi però, più della lucidità, servono gli attributi. Serve  il coraggio di crederci, di non mollare, di arrivare su ogni pallone, anche se sembra inutile. E quello su cui si fionda Cuadrado a tre minuti dal 90′, non sembra possa servire a molto. E invece il colombiano, da una posizione impossibile infila, alle spalle di Handanovic. Forse c’è una deviazione di Skriniar, ma queste sono sottigliezze che non contano. Quello che conta è quanto accade  tre minuti dopo. Conta solo quel traversone di Dybala e quel colpo di testa di Higuain. Conta solo il gol del 3-2. Conta solo non mollare mai.

INTER-JUVENTUS 2-3

RETI: Douglas Costa 13′ pt, Icardi 7′ st, Barzagli aut. 20′ st, Cuadrado 42′ st, Higuain 45′

INTER
Handanovic; Cancelo, Skriniar, Miranda, D’Ambrosio (49′ Karamoh); Vecino, Brozovic; Candreva, Rafinha (35′ st Boja Valero), Perisic; Icardi (39′ st Santon)
A disposizione: Padelli, Berni, Dalbert, Ranocchia, Lisandro Lopez, Eder, Pinamonti
Allenatore: Spalletti

JUVENTUS
Buffon; Cuadrado, Barzagli, Rugani, Alex Sandro; Khedira (16′ st Dybala), Pjanic (35′ st Bentancur), Matuidi; Douglas Costa, Higuain, Mandzukic (21′ st Bernardeschi)
A disposizione: Szczesny, Pinsoglio, Lichtsteiner, Howedes, Benatia, Chiellini, Asamoah, Marchisio
Allenatore: Allegri

ARBITRO: Orsato
ASSISTENTI: Di Fiore, Manganelli
QUARTO UFFICIALE: Tagliavento
VAR: Valeri. Giallatini

AMMONITI: 5′ pt Cuadrado, 21′ pt Pjanic, 45′ pt Barzagli, 7′ st Mandzukic, 13′ st D’Ambrosio, 32′ st Alex Sandro, 43′ st Brozovic
ESPULSI: 18′ pt Vecino

Inter-Juve 2-3: non si muore finché non si muore

E’ banale, senza dubbio, ma un finale del genere in quel di San Siro non può che portarsi dietro una considerazione (in titolo) del genere: come non è, per assurdo, la cosa più importante, bensì fondamentale è stato vincere in casa dell’Inter. Con mille problemi, immeritatamente, con uno stadio infuocato ed un arbitro in confusione, ma sono tre punti clamorosamente pesanti. La firma non può non essere quella di Gonzalo Higuain, che poco prima aveva fallito un’occasione facile, ma che ha saputo caricarsi la squadra sulle spalle e darle una vittoria che non ottimizzare adesso sarebbe folle. C’è un altro nome, in penombra, che però stasera merita per lo meno un timido applauso: Paulo Dybala. Sta fuori in silenzio, osserva, entra e vede la squadra andare sotto, prova a rendersi utile, ma quando capisce che si può essere importanti anche da comprimari, svolta il match: palletta a Cuadrado nel triangolo del 2-2, pennellata sulla testa del suo n.9 sul 2-3: cos’altro chiedergli in questo momento?

Nessun entusiasmo, attenzione, non ne vale la pena: sino al gol finale il titolo di questo pezzo sarebbe stato game-over, o qualcosa del genere. Vantaggio casuale, regalone di Vecino con quell’intervento pazzesco sull’espulsione, Pjanic che poteva andare sotto la doccia prima della sostituzione, poi blackout totale continuazione del periodo poco lucido di questo gruppo da qualche mese ormai. Però un merito a mister Allegri non glielo si può dare, in mezzo a tutte le inevitabili critiche che lo devono obbligatoriamente accompagnare: mettere Dybala al momento giusto, inserire Bernardeschi per far salire il ritmo, avere il coraggio di togliere Pjanic nel momento clou. Non sono scelte banali.

E’ tutto rose e fiori adesso? E’ tutto finito? Sarebbe stupido pensarlo, sostenerlo, crederlo. La Juve è in riserva, non sono impegni facili quelli che attendono adesso la Vecchia Signora, almeno sulla carta, un aiuto da qualche altra parte in giro per l’Italia, anche insperato, non dispiacerebbe, ma non lo si può perdere adesso. Non lo si deve perdere adesso. Duecentosettanta passi, copriteli prima degli altri: se lo meritano tutti coloro che devono sopportare, fra gli altri, Beppe Bergomi in telecronaca, con annessi e connessi del caso…

Fabio Giambò.

Cuadrado e Higuain come Dybala a Roma?

Con domini piuttosto incontrastati di una singola squadra (la Juventus) avvenuti in cicli molto lunghi, si era ormai perso il sapore di un campionato dove gli esiti finali oscillano così velocemente da una piazza all’altra, con fotofinish e testa a testa a cui non eravamo più abituati.  Non è tanto, o almeno non solo, la situazione di punti a fare la differenza, bensì il modo con cui il successo arriva. A Roma Dybala provocò la peggiore – e forse unica – crisi stagionale del Napoli, a San Siro Higuain potrebbe aver ripetuto in modo ancora più definitivo quanto fatto dalla Joya contro la Lazio.

Lasciando un attimo perdere la lotta con i partenopei, pure Inter-Juve è stata una girandola di emozioni in cui si è passati in modo totalmente imprevedibile a contesti diametralmente opposti. Se il giallo di Cuadrado (il maggior azzardo tattico) su Perisic dopo appena 4′ poteva lasciare presagire una nuova serata disastrosa, i 15′ dopo sembravano aver messo il match su binari che parevano insormontabili alla luce dei valori tecnici in campo: anzi, proprio dall’ex Fiorentina schierato come terzino era provenuta la giocata decisiva che aveva portato al gol di Douglas Costa.

Invece, pur in superiorità numerica, la Juve è riuscita a dare il peggio di sé, esasperando al massimo i difetti già evidenziati in tutta la stagione. Totale incapacità nell’abbozzare una sorta di possesso conservativo, con una mole incredibile di palloni buttati nel vuoto, e difficoltà nel disordinare la struttura difensiva nerazzurra. Le lacune più palesi si sono però viste nei tentativi di pressione alta, con uno scaglionamento deficitario e reparti lontani tra loro, e proprio dall’ennesimo sbagliato approccio di pressing avanzato è nata l’azione che ha portato all’autogol di Barzagli.

A sorprendere, se si pensa al mito della gestione inculcato da Allegri, è stato il nervosismo visto dai giocatori, che forse per la prima volta nell’intero ciclo sono parsi in difficoltà nel gestire i momenti clou della stagione e gli episodi, tant’è che a un certo momento della partita – più ancora che il timore di un gol subito – c’era la sensazione di un possibile doppio giallo da un momento all’altro, con Pjanic che è forse quello che ci è andato più vicino. Nonostante l’inferiorità numerica, ogni break di un singolo giocatore dell’Inter pareva più decisivo e incisivo, e gli avversari faticavano a prendere le contromisure.

Difficile, oggi, stabilire il peso di questa ennesima vittoria rocambolesca. E’ soprattutto l’esito di Fiorentina-Napoli che porterà a fare ragionamenti più certi sul finale di questo campionato, visto che – è bene ricordare – c’è ancora un Roma-Juventus tutt’altro che scontato. Tuttavia, suscita curiosità ipotizzare il livello delle prossima prestazione dei bianconeri: bisognerà vedere se una vittoria cruciale di questo tipo potrà far riprendere la Juve per le ultime 3 gare, o se invece la Vecchia Signora per la prima volta è effettivamente arrivata scarica sotto ogni punto di vista (tecnico, tattico, mentale) nell’ultimo atto della stagione, con amnesie generali inquietanti. Certo è che l’esito finale, qualunque esso sia, non potrà far passare sotto traccia le molte cose su cui questa rosa necessita ampi miglioramenti.

Jacopo Azzolini.

35a Serie A: Inter-Juventus 2-3

di Andrea Lapegna


Nella partita da vincere a tutti costi per entrambe le squadre, vince quella che ne aveva più necessità.


Dopo lo shock psicologico e di classifica della sconfitta interna contro il Napoli, la Juventus arriva al big match di cartello della trentacinquesima giornata con il morale in altalena. Se la vittoria rimane un obiettivo ineluttabile, Allegri ha voluto controbilanciare il peso emotivo della partita chiedendo “spensieratezza”. Proprio la leggerezza e la mente libera sono forse gli ingredienti mancati nello scontro scudetto settimana scorsa, e al tempo stesso in molti ritengono che la Juventus giochi meglio senza pensieri – vedasi la gara di Madrid. La spensieratezza si traduce così in una formazione offensiva ma bilanciata, schierando quello viene considerato da molti (incluso lo scrivente) una possibile soluzione al problema del terzino destro che si trascina da luglio. La formazione recita: Buffon; Cuadrado, Barzagli, Rugani, Alex Sandro; Khedira, Pjanić, Matuidi; Douglas Costa, Higuaín, Mandžukić.

Se riuscite ad abbandonare le passioni dei tifosi, sarete d’accordo con me nel dire che la bellezza del campionato si vede dal fatto che nessuna partita è già inutile, nessuna squadra è già veramente in vacanza. L’Inter vive la partita contro la Juve come un crocevia se possibile ancor più fondamentale, in grado di regalare alla società il maggiore incasso di tutti i tempi in Serie A, e ai tifosi la possibilità di fare uno sgambetto decisivo ai rivali bianconeri. Il tutto incastrato in una lotta Champions serratissima. Spalletti schiera così la formazione tipo in questo momento: Handanovic; Cancelo, Skriniar, Miranda, D’Ambrosio; Vecino, Brozović; Candreva, Rafinha, Perišić; Icardi.

La rottura dell’equilibrio

Le scelte dei due tecnici regalano una partita impostata più che mai sui duelli individuali, in tutte le zone del campo. Le due formazioni (4-2-3-1 e 4-3-3) sono spartiti diatonici e complementari: Spalletti e Allegri giocano sulla stessa scacchiera, in cui l’unica variabile differente – la direzione del triangolo di centrocampo – è proprio quella che fa combaciare e sovrapporre gli schieramenti l’uno sull’altro.

Se buona parte del pubblico poteva legittimamente aspettarsi un inizio tambureggiante da parte di entrambe le squadre, lo scacchiere ha consegnato un primo quarto d’ora decisamente interlocutorio. Diversi sono infatti i meccanismi in atto per limare gli artigli agli avversari. Nella Juventus il piano gara chiede alla squadra la ricerca dell’ampiezza (come si evince dalle posizioni medie in possesso del primo tempo) e in particolare a Cuadrado di prodigarsi in una presenza continua e decisamente alta nella metà campo avversaria. A seconda dell’altezza del pallone, Costa sceglieva se rimanere largo (con Cuadrado ancora basso) o accentrarsi portando via uomini e liberando corridoi al compagno. I cambi gioco hanno qui la funzione di disordinare le linee avversarie, contando di rubare un paio di tempi di gioco al riassetto degli avversari.

Nemmeno un minuto di partita: nonostate Cuadrado sia nomilamente il terzino sul lato debole, è alla stessa altezza di Sandro, in possesso. Costa entra allora dentro al campo occupando D’Ambrosio in posizione molto stretta

Ed effettivamente nel primo tempo il giochino è riuscito più di una volta, complice la pessima copertura di Cancelo. Poco dopo, Candreva prende spunto dal compagno e si stacca troppo da Costa sugli sviluppi di un calcio d’angolo. Uno a zero Juve.

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Il rosso a Vecino condiziona enormemente la partita di entrambe le squadre. Spalletti cerca di ovviare all’inferiorità a centrocampo abbassando il raggio d’azione dei tre trequarti, e schierandosi in non possesso con un 4-4-1 in cui la priorità è raddoppiare sugli esterni. Così, Rafinha scende accanto a Brozović, e seppur utile in dinamismo e corsa in avanti, la sua intelligenza calcistica risentirà della lontananza dalla porta. In realtà poi i tre giocatori più avanzati non rinunciano al pressing alto, su cui Spalletti aveva probabilmente preparato la partita. Almeno inizialmente, questo nuovo assetto però ha facilitato il fraseggio della Juventus, che una volta superata la prima pressione trovava avversari mediamente lunghi, con Rafinha e Brozović non proprio adatti a difendere all’indietro.

 

Le difficoltà della Juventus

Tuttavia, il pressing dell’Inter è migliorato in tempismo e coordinazione, e complice una paura autodistruttiva dei difensori bianconeri, è riuscito a rinchiudere la Juventus nella propria metà campo per larghi tratti della ripresa. Rugani soprattutto è sembrato terribilmente sensibile alla “palla che scotta”, auto-imponendosi il lancio alla viva il parroco ogni volta che non poteva contare su un appoggio sicuro in orizzontale. In possesso consolidato, per quanto le trame fossero positive, è mancato il riferimento tra le linee; Higuaín, scendendo, è parso soffrire la fisicità delle uscite di Miranda e Skriniar, forse per la stanchezza di questo finale di stagione. Senza palla la Juventus ha dato l’impressione di non essere a proprio agio nel prendere la circolazione bassa agli avversari. Nonostante l’uomo in più, non riusciva mai a portare pressione con tempi e armonia, e le mezzali che hanno sbagliato con allarmante ripetitività i tempi della salita sul secondo portatore, scoprendo voragini gargantuesche alle loro spalle, che Pjanić ha dovuto provare a tappare alla meno peggio (rischiando grosso in più di un’occasione).

Un esempio di pressing portato malissimo. Higuain si lascia eludere con un controlo orientato di Skriniar, bravissimo. Khedira è rimasto alto senza apparente motivo, ma si lascia sfuggire Brozovic. Matuidi è salito con almeno due tempi di gioco di ritardo (se l’intenzione era fronteggiare Skriniar, altrimenti è proprio senza senso). Skriniar troverà Brozovic prendendo in controtempo entrambe le mezzali bianconere e Pjanic dovrà gestire lui e Rafinha, in inferiorità numerica e con praterie ai lati.

Nonostante le grida di Allegri, che invitavano la squadra ad aprire l’Inter in ampiezza e a cercare il secondo gol, con il passare del tempo la Juventus ha subito un’involuzione spaventosa in tutte le fasi di gioco. Più il cronometro scorreva, più la paura di perdere invadeva la mente dei giocatori. In questo contesto emotivo, un ruolo fondamentale l’ha giocato il pressing dell’Inter, encomiabile se non altro per lo sforzo – fisico, prima di tutto – di andare a prendere gli avversari in inferiorità numerica nella loro metà campo. Una tattica rischiosa, che ha allungato molto l’Inter ma che era anche la strada più logica da percorre in un contesto dove l squadra di casa non aveva più nulla da perdere. È un momento della stagione in cui la Juventus soffre tremendamente una pressione collettiva orientata all’uomo e portata con costanza in tutte le aree sensibili del primo terzo di campo. Già Lazio, Tottenham, e Napoli avevano scoperto questo nervo, su cui Spalletti ha calcato la mano anche con un uomo in meno. Nell’uscita con la palla, i difensori rimangono scolasticamente ancorati alla litania “controllo-testa alta-tocco-passaggio”, invogliando la pressione; i terzini non hanno la necessaria confidenza per cercare Pjanić o meglio ancora le mezzali (che per giunta se ne scappano altissime) e lo stesso Pjanić deve giocare sempre all’indietro e a pochi metri da Buffon. La squadra ha sbagliato ben 44 passaggi, perdendo la sfera in 38 occasioni. Il lavoro degli esterni nerazzurri è stato generosissimo: da un lato raddoppiavano sulle ali juventine, e dall’altro salivano in pressione quando la Juve si rifugiava il più indietro possibile. Candreva è stato ad esempio fondamentale nell’aiutare un Cancelo sembrato “imberbe” e poco scaltro nella marcatura.

 

Il finale

Il parziale ribaltone subito dalla Juventus è stato quindi la naturale conseguenza di una partita giocata con il freno mentale tirato al massimo. Indiscutibilmente, la paura di sbagliare porta a sbagliare, così come la voglia di vincere è una condizione necessaria e prodromica alla vittoria stessa. I cambi di Allegri hanno senza dubbio limato le criticità della Juventus – Khedira e Mandžukić non ne avevano più, né atleticamente né mentalmente, né soprattutto avevano più posto nel contesto tatticamente disastrato del secondo tempo. Ma la vittoria non si può spiegare in maniera soddisfacente solo alludendo alla qualità portata da Dybala e Bernardeschi, né con l’avanzamento di Cuadrado o con le sue corse in underlapping, pure decisive. Il riferimento e l’appoggio tra le linee garantito da Dybala – e mancato durante tutta la partita – ha certamente aiutato il fraseggio a creare i presupposti per la rifinitura, ma da solo non basta a spiegare il ribaltamento del risultato. È difficile anche ricamare sulla narrativa del cuore oltre l’ostacolo, dal momento che per 70 minuti buoni la Juventus è sembrata essere in balia della partita e aver paura della propria ombra. Le parole di Allegri possono invece offrire un angolo interessante sul finale: interpretate a più non posso, secondo il sottoscritto significano che col cronometro che corre deciso verso la fine, la squadra tende a consegnare il pallone ai giocatori più dotati tecnicamente e a pregare. Qualcuno ha esaudito quelle preghiere.

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Seguite Cuadrado, dall’inizio alla fine. A 41:23 sul cronometro, Candreva era andato a fare il sesto a sinistra della linea difensiva. Lui capisce che Costa glielo avrebbe tenuto “aperto”, e sceglie di associarsi con Dybala per passare in mezzo e puntare Santon.

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Alla luce dell’idiosincrasia tattica manifestata nell’arco di quasi tutta la partita, rimane difficile giudicare la prestazione della Juventus. Se tutti gli spettatori tendono ad accordare un ruolo immaginifico all’emotività e agli aspetti psicologici della partita, questi si sono mostrati in tutta la loro cruda efferatezza. Un esempio su tutti: Cuadrado nel ruolo più o meno inedito di terzino. Deputato alla copertura di Perišić, specialmente per le corse verso il fondo e gli uno contro uno, si è lasciato ammonire scioccamente dopo 4 minuti. Condizionato dal cartellino, ha sempre lasciato un paio di metri al primo controllo del croato, creando il contesto tecnico acché l’avversario potesse arrivare sul fondo con costanza. Esemplificativo il secondo gol dell’Inter, dove pure di dimostrare la propria buona fede ed evitare un possibile secondo giallo, lascia andare l’avversario in area indisturbato. Condisce il tutto con un paio di letture sbagliate, forse condizionate a loro volta da un posizionamento non ottimale rispetto all’avversario. Eppure, fornisce l’assist per il primo gol; nel secondo tempo crea il secondo gol grazie all’associazione con Dybala: si libera della scimmia sulla spalla e comincia, assieme ad altri compagni e con 80 minuti di ritardo, a puntare gli avversari.

 

E ora?

La Juventus ha vinto la sua partita, ma sta camminando su un equilibrio più che precario. In mancanza della forza mentale portata da un vantaggio più ampio sul Napoli, la gestione degli incontri avuta sinora ha dimostrato di non funzionare più. La solidità emotiva della Juventus ha ormai lasciato il posto ad un panico caotico che mancava da molto tempo in quel di Torino. Cosa può allora arrestare il circolo vizioso in cui sembra impantanata la squadra? È chiaramente tardi per portare i dovuti correttivi tattici alla squadra, e a parere di chi scrive ci sono due strade che possono condurre al settimo scudetto consecutivo. Il primo scenario è quello secondo cui la squadra si rende conto di aver svoltato emotivamente con questa vittoria e riprende fiducia nei propri mezzi con un guizzo d’orgoglio (e contestualmente Allegri utilizza i giocatori più tecnici dall’inizio); il secondo scenario vede la Juventus continuare a camminare su dei gusci d’uovo per le prossime tre partite, vincendole con la forza degli episodi (e della fortuna), mettendo così in difficoltà anche la logica più ferrea e attentando alle coronarie di 15 milioni di tifosi.

La stagione più brutta, la squadra più bella

inter-juve squadra

Metto le mani avanti come mi piace fare sempre: la partita di ieri, dopo una ventina di minuti incoraggianti, non avremmo dovuto nemmeno pareggiarla. Con un gol e un uomo in più la Juventus ha come suo solito smesso di giocare, ricercando l’episodio o la giocata per far saltare nuovamente il banco, difendendosi contro una squadra che ci ha palleggiato in faccia in 10 contro 11, mostrando il fianco su piazzato come troppo spesso è successo e capitolando su un autogol non fortunoso, ma figlio del non-gioco messo in atto in quel frangente. La cosa più brutta, come sottolineato anche da Jacopo qui, è stato il pallido e dilettantistico tentativo di pressing che altro non ha fatto che lasciare praterie all’Inter, quasi sorpresa nel trovarsi in superiorità numerica dentro la nostra metà campo nonostante l’uomo in meno.

In questo ma anche in altri aspetti, l’ultima Juve di Allegri assomiglia a un bambino dispettoso, un bambino che si piega controvoglia a ordini che gli sembrano insensati, che fa i compiti male, che appena può coglie l’occasione per disubbidire e fare di testa propria. Cuadrado terzino è il più classico degli specchietti per le allodole di un tecnico che non vuole abbandonare il calcio dei furbi, che ha scelto una strada per arrivare in fondo e che, piaccia o no, qualora dovesse arrivare lo Scudetto avrà i suoi meriti. Se succederà, il mister attribuirà sicuramente gran parte di essi ai ragazzi come suo solito, con la differenza che stavolta non dovrà farlo per modestia o piaggeria, dato che dentro di sé Allegri sa che se questa folle, insensata e terrificante stagione è ancora in piedi, il merito è dei campioni che ha in squadra.

La squadra, già, quella squadra di cui mi sto innamorando sempre di più. Al gol di Higuain ieri sera, dopo non so quanto tempo, ho urlato, ho sbarrato gli occhi fin quasi alle lacrime, ho abbracciato chi mi stava intorno e viveva come me la totale irrazionalità di quel momento. Un attimo prima avevamo perso lo Scudetto in casa dell’Inter in 10, un lampo (anzi due) ed eravamo con le lacrime agli occhi davanti all’urlo del Pipita, uno di quelli che venderebbe l’anima al diavolo pur di portarsi a casa questo Scudetto, glielo leggi negli occhi spiritati nell’esultanza di ieri. Non ho esultato così al secondo gol a Wembley col Tottenham e neanche al 3-0 di Matuidi al Bernabeu, non so spiegarne il perché, semplicemente non me lo sentivo; ieri invece sì, ieri guardando la squadra festeggiare a fine partita mi sono sentito orgoglioso di tifare Juventus.

Orgoglioso di Douglas , brasiliano tanto silenzioso e umile quanto capace di spaccare le partite con accelerazioni e giocate che non vedevo da tempo da un 11 bianconero. Orgoglioso di Federico che segna ed esulta a Firenze, che entra a San Siro e guarda in faccia il nulla cosmico sin lì prodotto dalla Juve, e che cerca sempre la palla non banale perché vuole metterci del suo nella rimonta. Orgoglioso di Blaise, che ai piedi montati al contrario sopperisce ottimamente con un cuore gigante, dei polmoni d’acciaio e quella sua innata dote di trovarsi sempre dove c’è bisogno di lui.

Orgoglioso, ovviamente, della fame di chi ne ha vinti sei di fila, di chi piange a fine partita perché la Juventus ha vinto nonostante un suo errore, di chi ancora più di noi tifosi sente il clima di guerra e veleno che si fa sempre più pesante, di chi è orgoglioso di ergersi da solo contro tutti, di chi vuole impedire a tutti i costi a Gigi di lasciare il calcio con un fallimento, di chi ha preso sotto braccio i nuovi arrivati e gli ha fatto capire cosa significa essere Uomini da Juve. Orgoglioso dei senatori come dei giovani, di chi viene messo in discussione senza un vero perché ma poi entra e decide le partite, di chi risponde alle critiche solo e solamente sul campo, di chi mette l’interesse della squadra sempre davanti al proprio, di chi sparisce dai radar per mesi ma al rientro non sbaglia un pallone che sia uno.

Senza Uomini da Juve, una partita come quella di ieri non si vince mai, anche in 11 contro 7. Con questa squadra, con questi uomini, ogni traguardo mi sembra possibile; tra un mese parleremo di chi li ha guidati e di chi li guiderà dall’anno prossimo in poi, ora mettiamoci a fare i tifosi e affidiamoci a loro. Molto tempo abbiamo speso nel parlare di gioco, di allenatori, di schemi, di scelte, di moduli e quant’altro, troppe energie abbiamo profuso nel giudicare ciò che vedevamo e che non ci piaceva, ma a tre partite dalla fine queste cose non contano più niente. Conta sputare sangue per altri 270′, essere più bravi degli altri e non più belli e alzarla in faccia a tutta Italia. Al resto, importantissimo per carità, penseremo poi. La Juventus è adesso.