L’incantesimo del Profeta Hernanes

Intervallo di Juventus – Bayern Monaco 0-1. 45 minuti di monologo bavarese nella trequarti campo della Juve padrona di casa, nel Suo stadio, quello che solamente gli stessi tedeschi anni addietro hanno saputo violare in Europa. Come nella più classica delle serate storte, piove sul bagnato: provlema muscolare per Marchisio, al suo posto entra il numero 11 Anderson Hernanes. Lo stesso Hernanes che in coppa ha rimediato un’espulsione abbastanza ridicola contro il Borussia Moenchengladbach, lo stesso Hernanes che sin qui è stato poco più di un oggetto misterioso, corpo estraneo di una squadra che ha infilato vittorie in serie dopo una partenza disastrosa. Alzo gli occhi, lo vedo trotterellare placidamente verso il cerchio di centrocampo. Primo pensiero: “Siamo davvero finiti”. Secondo pensiero, a pochi istanti dal primo: “Mancano 45 minuti, una vita, chissà che non possa smentirm

 

 Inizia il secondo tempo, Hernanes infila un paio di giocate giuste, poi altri due appoggi intelligenti, poi scappa via in mezzo a tre uomini con un doppio passo lentissimo ma ipnotico. Mi guardo intorno, gente che strabuzza gli occhi e chiede al vicino di posto chi sia quel ragazzo nuovo con la maglia numero 11. Lentamente (ci mancherebbe) il Profeta prende per mano il centrocampo bianconero e, mentre la Juve si scuote con rabbia dopo aver subito il secondo gol, essa si appoggia con naturalezza sul flemmatico brasiliano. Un mio amico interista tempo fa mi raccontò un curioso aneddoto su Hernanes, a dispetto della prima impressione vero e proprio burlone da spogliatoio. Ai tempi della sua prima mezza stagione in nerazzurro, l’ex Lazio giunse alla Pinetina sussurrando ai compagni più fidati un terribile segreto: “Ragazzi, ho scoperto un modo per correre al doppio della velocità, ma non posso mostrarvelo altrimenti tutti mi copiereste!“. Ora, forse il doppio della velocità consueta di Hernanes è comunque abbastanza lento, ed ecco il motivo per cui nessuno si è mai accorto di questo formidabile trucco, ma sta di fatto che stasera il Profeta l’incantesimo l’ha lanciato davvero.

Non ha corso più veloce né ha fatto volare i propri compagni, ma con lui davanti alla difesa la palla ha iniziato a scorrere con molta più naturalezza e precisione. Non a caso, Hernanes è l’unico centrocampista bianconero ad avvicinarsi alle percentuali bulgare di passaggi riusciti dei pari ruolo bavaresi: un ottimo 87%, meglio di Muller e Douglas Costa, di poco sotto a Robben e Thiago Alcantara, molto meglio di Marchisio e Pogba, che si fermano rispettivamente a 62% e 75%. Freddi numeri che poco si addicono a un uomo di pensiero come il brasiliano, ma che servono a dipingere meglio, agli occhi di noi comuni mortali, l’importanza del suo ingresso in campo.

Ritrovate la precisione e la freddezza, la Juventus ritrova anche il gol, portando a casa un pari insperato per com’era scivolata via la prima frazione di gioco. Importante nell’economia generale della squadra, Hernanes non entra nelle due azioni che portano alle reti di Dybala e Sturaro; non gli serve, il Profeta già sapeva. I migliori illusionisti sono quelli capaci di riproporre i propri trucchi a volontà, senza sbagliare mai e anzi riuscendo sempre meglio. Hernanes no, lui non può mettere troppo in mostra le sue qualità, altrimenti gli avversari capirebbero il trucco: chi lo ferma un Douglas Costa che corre a velocità doppia? Sta di fatto che, per la prima volta, Hernanes si è rivelato un ingranaggio vero di questa Juve, non un corpo estraneo che fatica ad entrare in meccanismi già ben oliati. Riuscirà a dare continuità all’ottima prestazione di ieri sera? Questo lo sa, ovviamente, soltanto lui.

Alex Campanelli.

Be heroes, be Mario

 Alla Juve è servito un tempo e qualcosa in più per capire come affrontare e, soprattutto, che si poteva ferire il Bayern Monaco. A Mario Mandzukic sono bastati poco più di trenta secondi. Indicativamente il tempo impiegato a coprire la distanza che separa gli spogliatoi dal terreno di gioco. Uno come lui lo sapeva già.

Ieri sera, il croato ha dimostrato che quando si parla di carattere che consente di gettare il cuore oltre l’ostacolo, grinta che colma i gap tecnici ed esperienza internazionale che può fare la differenza non si fa retorica spicciola. Si parla di concetti veri, solitamente intangibili, ma che il numero 17 bianconero ha reso così evidenti da dare la sensazione di poterli toccare.

Era come se intorno a lui ci fosse un’aura formata da grinta e voglia di vincere, quella rabbia incontenibile che se male incanalata può portare a compiere sciocchezze. Ma lui sa bene come controllarla e l’ha trasmessa ai compagni, l’ha messa in ogni corsa verso il pallone, in ogni contrasto con l’avversario, in ogni conclusione verso la porta. E, questa è quasi una novità, in ogni assist.

 

Perché alla fine lo spietato centravanti ha vestito per una sera i panni dell’assistman. Prima tocco perfetto per premiare l’inserimento di Dybala, poi palla spedita sulla corsa di Morata, in quello spazio che troppo a lungo la Juve ha saputo solo guardare e mai attaccare. Bravi lo spagnolo e Sturaro a fare il resto. I gol, però, sono partiti da lui, che combatteva come un leone anche quando in tanti si chiedevano, sommessamente, se avesse ancora senso continuare.

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Lui non ha mollato, è stato un eroe, come hanno chiesto i tifosi. Ha ringhiato su ogni palla come se fosse l’ultima, la prima, l’unica. Come se non esistesse altro, come se, anche sullo 0-2 e con un Bayern in netto controllo, la giocata giusta potesse cambiare le sorti del match. E così è stato. Lui lo sapeva, per questo non s’è perso d’animo nemmeno quando il suo spirito combattivo, agli occhi di un esterno, potesse essere paragonato a quello di Don Chisciotte. Ma lui, a differenza dell’Alonso Quijano di Cervantes, aveva un vero nemico da affrontare e un vero esercito a sostenerlo.

Ora è chiaro a tutti perché Allegri non voglia rinunciare a lui, quando è a disposizione. È chiaro perché l’abbia gettato nella mischia senza pensarci. Il croato ha rappresentato lo spirito Juve. Quel lato più rude e ‘cattivo’ di esso, esattamente ciò che serviva in una gara come questa. Ha sputato sangue per la maglia, combattuto in tutti i modi possibili, e quel testa a testa con Lewandowski, in un momento in cui la foga agonistica ha preso il sopravvento, diviene un po’ la copertina della serata.

Resta questo, in fin dei conti. La grinta, la rabbia, la voglia, opposte a quella qualità tanto bella e letale. Due mondi faccia a faccia, e, se personalmente preferirei essere dal lato degli esteti, per ora va bene anche così. Arriviamo con il cuore ove i piedi ancora non ci permettono di avventurarci. E, vada come vada al ritorno, nessuno potrà toglierci l’orgoglio di aver combattuto. Cattivi e indomabili. Come Mario.

Edoardo Siddi