Varriale e Freccero: i due figli di trinità

di Marco Tarantino

Unti da (misteriosa) grazia divina, Enrico Varriale e Carlo Freccero, inviato e direttore del servizio pubblico, possono permettersi di spargere urbi et orbi il loro veleno antijuventino senza che nulla accada: la chiamavano ‘deontologia’

IMMAGINATE un sacerdote che, nel bel mezzo dell’omelia, anzi, di ogni omelia, diffonda un po’ di segreti del confessionale, facendo nomi e cognomi, aggiungendo interpretazioni, critiche, maldicenze e illazioni sulla persona, sul peccato, sulla penitenza, sulle parrocchie della stessa provincia o d’altre. Immaginate un avvocato che, divagando nel corso di un’arringa o twittando per ingannare il tempo, riveli dettagli e retroscena relativi a suoi clienti o d’altri e d’altri studi professionali. Che altrettanto facciano un anestesista o un primario circa i loro pazienti, magari durante un convegno e poi postando gli audio a un po’ di testate online. Immaginate, sempre, un Dirigente scolastico che sparli dei propri docenti, modalità editoriali a scelta; o funzionari istituzionali, amministrativi, stellati militari che sputtanino abitudini, trascorsi, episodi e atteggiamenti dei propri colleghi, collaboratori, sottoposti, puntando poi le armi per astio atavico – ad abundantiam – contro altri rivali istituti, enti, uffici, corpi. Che direste, che diremmo? La nostra deontologica indignazione scalerebbe all’istante l’Everest.

Provate a immaginare, per giunta, che la eccellentissima autorità episcopale, gli Ordini degli Avvocati e dei Medici, sottosegretariati e ministeri a schiera non muovano un dito, marmorei come una scultura; e che dunque non partano procedimenti, sospensioni, men che meno rimozioni.

Apriti cielo, credo (spero). Giustamente. Situazioni miste, differenti, okay: ma saremo i vostri giudici.

GIORNALISMO O PRESUNTO TALE alla mano, invece, per ragioni più o meno misteriose (o congenite) siamo da due o tre decenni indifferenti alla faziosità dichiarata, alla malafede militante di chi attacca, storpia, infanga, calunnia al servizio della propria privata bandiera. Privata: pare a (quasi) tutti accettabile e persino normale che, a casa propria e per la gloria di chi lo stipendia, un ‘giornalista’ ridicolizzi sé stesso, ruolo e tessera per sbavare veleno a comando. Gli esempi sono innumerevoli, notoriamente, e in ogni campo. Per restare in quello che amiamo, con l’erba e le porte, è diventato incredibilmente normale o quantomeno accettabile (tralascio, per necessaria sintesi e per soggettivo disprezzo, la disinformazione strategica, l’allusione sistematica e i teatranti con le trombette sociali) che Pistocchi urbi et orbi definisca “ladra” la Juve o che Ziliani, da Mediaset e dal ‘Fatto’, faccia spiovere le sue soavità. Sono privati. Già. Mica giornalisti. Che il loro ruolo sia (anche) pubblico, che siano iscritti all’Albo, che essi cerchino un auditorium quanto più vasto (i social), anche questo passa in cavalleria. Ok. Che facciano. Che glielo si permetta. Siamo sempre più sordi. Oppure i nostri anticorpi fanno tanta di quella palestra che contano ormai solo i loro bicipiti.

INGOIATO QUESTO ROSPO, tuttavia, non riesco a capire come sia possibile restare muti – a tutti i livelli – davanti alle performance di giornalisti o altissimi papaveri del servizio pubblico: pubblici dipendenti, cioè, pagati anche dal portafoglio di chi da loro viene toccato, tacciato, irriso, sminuito, accusato. Enrico Varriale può, dopo lo scorso Empoili-Juve, twittare di “un rigorino” che “non a tutti (…) danno”, così sostenendo una parzialità conclamata. Varriale aveva piroettato di meglio nello scorso aprile, dopo la disfatta a Firenze del suo Napoli, “vincitrice morale”, sconfitto soltanto “da qualcosa che non si può battere”: così sostenendo una parzialità organizzata, indovina da quali tentacoli (cfr. Ziliani).

Quanto al neodirettore di rientro, Carlo Freccero, celebre e celebrato docente di Tecniche del linguaggio e Comunicazione in varie facoltà romane e genovesi, ha sciorinato docenza, decenza, temi e stile nel corso della conferenza stampa di insediamento in Rai, 4 gennaio scorso, per informare l’universo che il rigore con cui la Juve aveva battuto la Samp (29 dicembre) “è una vergogna”; e che “la Juve vince perché ha occupato tutto il Var possibile, è una cosa dell’altro mondo…Tutti i Var sono loro…fanno una cosa indisponente”. Chiosa finale: ”Forza Roma!”. Dettaglio marginale, due settimane prima, non due anni, la sua Roma aveva rischiato di pareggiare allo Stadium in virtù di una grottesca, formidabile serie di errori arbitrali a senso unico, sigillati da un Var fuori protocollo (il gol tolto a Costa) o forse distratto (il mancato secondo giallo a Nzonzi).

A parti invertite? Legge del sospetto come durante il Terrore? Raddoppio del canone per chiunque fosse tacciato di juventinismo? Sottrazione del reddito di cittadinanza a chi venisse trovato in possesso di un poster di Del Piero? Piccolo inciso, per tornare giusto un attimo alla stampa privata: anziché essere stroncato e sospeso (come no), quell’arbitro, Massa, trovò tra le altre la benedizione di Matteo Pinci, su ‘la Repubblica’: “Massa, 6,5: annullare un gol allo Stadium col Var: una voce nuova nel curriculum”. Direi proprio di sì, Pinci. Toglierei il ‘nuova’, se lei ha voglia d’informarsi su qualche precedente assortito, sempre e solo per restare allo Stadium: Juve-Cagliari e Juve-Fiorentina del 2017, Juve-Cagliari scorso e lo stesso Juve-Napoli dell’aprile 2018 (su Higuain all’84’). Andassimo in trasferta, perderemmo un po’ il conto (Genova bis, Udine, Bergamo, Bologna, Chievo lo scorso agosto). Amen.

FATTI E MISFATTI senza precedenti, e non che ovviamente le opere e le passioni di un Galeazzi, di un Civoli, di un Cerqueti, di un Mazzocchi inginocchiato con sciarpa sul palco scudetto della Lupa fossero uno shock: sempre per restare nel servizio pubblico in esame, ché anche sugli algoritmi payperview di Caressa & Co. a quanto pare dovremmo unanimemente sistemare una bella croce (paghi chi crede e cede, poi stia zitto). Tuttavia, preistoria o modernità, Necco e Carino e Martino e Bubba e Beppe Viola inclusi, nessuno dei da noi stipendiati si era mai permesso – sin qui – di scagliare il proprio tifo con frecce talmente avvelenate, o di confondersi senza alcun pudore con gli urlatori dei Fan Club.

Varriale e il suo Direttore, viceversa, possono questo e altro. Come si dice? Rotto l’argine, campo libero: non si torna più indietro. Si potrebbe, in realtà, se dal torrione dell’Ordine nazionale, ove risiede il presidente Carlo Verna, napoletano ed ex (discretamente equilibrato) inviato rainapolista al seguito del Ciuccio, giungessero segnali di vita. Ma non è cosa, capìtelo. Intervistato lo scorso 17.11 dal ‘Quotidiano di Sicilia’, il nostro prode castellano si sublimò nel sontuoso breviario del Grande Giornalista: “Noi siamo quelli delle regole”. Per poi saccheggiare il baule del suo premiato umanesimo, dal Purgatorio secondo Dante e Marco Lombardo, canto XVI: “Le leggi (ci) son, ma chi pon mano ad esse?”.

Carlo Verna, no.

E poverino, non è certo l’unico.