12 Top Club europei annunciano la creazione della Super League

Juventus Football Club S.p.A. annuncia la sottoscrizione di un accordo con altri top club europei, ossia Associazione Calcio Milan S.p.A., Arsenal Holdings Limited, Club Atlético de Madrid S.A.D., Chelsea Football Club Limited, Football Club Barcelona, F.C. Internazionale Milano S.p.A., The Liverpool Football Club and Athletic Grounds Limited, Manchester City Football Club Limited, Manchester United Football Club Limited, Real Madrid Club de Futbol e Tottenham Hotspur Limited, per la creazione di una nuova competizione calcistica europea, la Super League. I club hanno concordato di partecipare alla Super League con un progetto di lungo termine. È previsto che altri top club europei aderiscano al progetto Super League, così da costituire un nucleo di club composto da un numero massimo di 15 membri fondatori permanenti, ai quali, in ciascuna stagione sportiva, si aggiungeranno altri club secondo un processo di ammissione, per un totale di 20 club.

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W la SuperLega, che il dio calcio la benedica!

La Superlega esplode in un giorno movimentato e in una notte storica!

Si sa tutto sui 12 club che hanno fondato una nuova era del calcio, inclusi il format, le polemiche e le minacce di UEFA e Federazioni affiliate.

La SuperLega non è una mossa strategica per “trattare” con la UEFA e ottenere condizioni favorevoli per la nuova “Champions League”. Un evento del genere, con 12 top club che fanno deflagrare tutto con comunicati simultanei e con capi di stato (Macron, Johnson) che tuonano contro, non è una mossa, è una BOMBA ATOMICA!

Cosa accadrà ora? Le Federazioni squalificheranno i reietti? I calciatori dell’élite saranno banditi dalle nazionali (con gli Europei tra 2 mesi)? Difficile. Squalifiche del genere potevano accadere in altre ere dello sport con strappi storici e sanzioni memorabili, ora non è possibile, perché ci sono i soldi, tantissimi, una valanga.

E’ credibile una Premier con contratti miliardari che mette al bando le BIG SIX? E’ immaginabile che gli sponsor di Liga accettino, per il bene dello sport e delle regole, l’estromissione di Real, Barca e Atletico? Una Serie A senza Juventus (l’abbiamo già vista), Inter e Milan, che volume di affare avrebbe, in epoca post-Covid? Pensate ad una UEFA che decida di fare una sua Champions escludendo i 12 club che hanno vinto il 90% dei titoli nell’era moderna e portano il 90% di ricavi. E come potrebbero le federazioni squalificare ora i 12 club -che non hanno ancora trasgredito alcuna regola- senza essere sommersi da ricorsi miliardari?

Dopo uno sconquasso così prorompente, dopo un passo in avanti così gigantesco, anche se ipotizzato da anni, c’è perplessità: giusto o sbagliato?

UEFA, Federazioni, Politici e Giornalisti hanno subito cavalcato il classico populismo antistorico (sanno fare altro?):

  • Pochi club distruggono il calcio pensando solo al proprio interesse: dichiara UEFA e FIFA tuffandosi nei soldi intrisi di sangue del Qatar,
  • Il merito sportivo non può essere distrutto così! Dichiara la Liga denunciando i 3 club che hanno occupato i primi 3 posti negli ultimi 10 anni
  • Ammazzano il calcio per soldi! Dichiarano le TV che decidono date, orari e calendari perché hanno cacciato i soldi!
  • Un baraccone egoistico che calpesta le regole! Si dichiara nel Paese in cui i tornei vengono decisi da ASL, Laboratori, Coni e baracconate!

Eppure cosa cambierà?

Se i tornei domestici resteranno tali (o morte certa senza l’80% di audience e soldi di chi finanzia il player trading) a soccombere sarà la Champions, quella competizione che fa brillare gli occhi per 5-6 gare l’anno e che dovrebbero essere invece 40-50 ora. Quella stessa Champions che vede in semifinale City e PSG, una bandita per 2 anni e salvata dal TAS a colpi di cavilli e carte bollate, l’altra che paga miliardi per avere giocatori grazie ai soldi di Fondazioni ed Enti del Turismo.

Diciamo la verità: il calcio è in crisi irreversibile. Senza una mossa del genere sarebbe collassato. Pagare 150 milioni un cartellino, dare 20 milioni ad un 20enne per fargli giocare solo 4-5 big match l’anno è roba da sceicchi che si divertono con risorse illimitate, avulse dall’autofinanziamento di un sport che dovrebbe PRODURRE ricavi, non bruciare debiti. I ragazzini preferiscono vedere gare di FIFA e PES piuttosto che tornei domestici con i soliti 4-5 big match l’anno e altre gare -sportivamente importanti- con poche migliaia di tifosi allo stadio o in TV. Il campanilismo resterà, le “favole” sportive resteranno (che poi il Leicester era di un super-miliardario thailandese mica un’associazione sportiva di quartiere, l’Atalanta. è di Percassi nei top 30 di Forbes, mica un oratorio bergamasco). Il calcio proverà ad essere più show, più bello esteticamente e più ricco. E in mano ai Club, a chi mette i soldi e li rivuole indietro, non in mano a Federazioni che fanno disastri con pause nazionali, giustizia sportiva ridicola e mazzette varie.

E la Juve?

Se le federazioni terranno duro ed escluderanno le big (restringendo il volume d’affari al 10-15% dell’attuale) la Juve avrà vinto 9 degli ultimi 10 scudetti “seri” e proverà invece, all’interno di un sistema calcio più livellato in cui il gap economico rispetto agli altri tornei non ci sarà più e quello “commerciale” sarà tutto da rivedere, a vincere una SuperLega in Europa, lì dove non vince da 25 anni e dove, nonostante sforzi ciclopici e grandi stagioni non è riuscita comunque a colmare sul campo la differenza economica abissale.

Siete ancora indecisi?

Fatevi un giro qui per capire da che parte stare:

😥

Per chi non avesse seguito il Club fino a notte fonda e volesse sapere cosa ne penso dell’ipotesi “Superlega”, sintetizzo il mio pensiero in 3 parole: mi fa orrore #Skysport

— Sandro Piccinini (@RealPiccinini) April 19, 2021

W LA SUPERLEGA!

Sandro Scarpa.

La SuperLega e la “crociata” mediatica di chi “ama” il calcio

Juve

Sono stati anni bellissimi quelli vissuti in questo decennio. E l’Italia è un Paese spettacolare più di quanto si riesca a immaginare. Perché non solo ospita un campionato, quello in corso, che “più bello di così non si vedeva da anni”, ma soprattutto perché è bastata la fondazione di una Superlega per scatenare gli improperi di gente ferita nel “romanticismo” sopito nel tempo.

È la “crociata” mediatica di chi “ama” il calcio contro chi lo vuole “distruggere”. E i “crociati”, sulla base di congetture consolidate, hanno idee chiare su una competizione che neanche i fondatori hanno definito nei suoi contorni. Però i novelli “oppositori” del calcio moderno sanno tutto. Soprattutto chi è “l’assassino” del calcio o il “mandante”, che non è il maggiordomo, ma, guarda caso, Andrea Agnelli. E c’è pure il movente: “Non riesce a vincere la Champions”. Peccato per gli improvvisati “investigatori” che il regista dell’operazione sia Florentino Perez, uno che tra l’altro qualche Champions l’ha pure vinta e che, stando al teorema, non avrebbe interesse a crearsi a sparigliare le carte. Dettagli.

Tra gli oppositori i più curiosi sono alcuni tifosi interisti e milanisti, quelli “confusi” che, da un lato, vorrebbero gridare al “golpe”, ma, dall’altro, sono combattuti perché si sono accorti che dentro al progetto ci sono le loro squadre; e allora prendono tempo. Altri, invece, continuano a gridare al “golpe” ma solo perché non si sono ancora accorti che le squadre per tifano sono dentro al progetto. E si uniscono a quelli che puntano il dito contro Agnelli a priori.

“Non ci sono più le vecchie stagioni” direbbero i saggi mentre un coro si alza contro lo strapotere del “vil denaro” che “sminuisce” passioni e sentimenti. Del resto, nella narrazione collettiva dei “ricchi” che vogliono affossare il popolo, ovviamente i “cattivi” sono i 12 “ribelli”, quelli che secondo Gary Neville, hanno compiuto un “atto criminale” mentre i “buoni” sono i noti difensori del popolo. In ordine la Fifa, l’Uefa, i Blatter, i Ceferin, gli Infantino.

I soldi per loro sono tema “poco attraente”. Fifa e Uefa da sempre sono più “attente” e “sensibili” allo spettacolo popolare, tanto da organizzare competizioni in luoghi senza alcuna tradizione calcistica e con qualche problema in termini di diritti umani: ma è un dettaglio anche questo. Non è “business”, è “divulgazione dei valori dello sport”. E c’è “divulgazione dei valori dello sport” e “rispetto del calcio del popolo” anche negli scandali per corruzione o nel permettere ad alcune società ben note di bypassare le forche del fair-play finanziario a dispetto di altri club, costretti ad attenersi a regole ferree. Perché le leggi sono uguali per tutti, no? Stessi valori che hanno determinato il prestito di un giocatore con riscatto a 180 milioni e sponsorizzazioni monstre per giustificare l’acquisto di un altro fuoriclasse, gonfiando i fatturati. Il calcio, si sa, è del popolo.

Ma il male sono i “dissidenti”. Ce lo dicono Capi di Stato, premier, politici e intellettuali. Pure Maurizio De Giovanni, ospite di casa al Tg Uno, che in nome di numerose fiction ispirate ai suoi romanzi, interviene praticamente su tutto e su tutto ha un’idea. Nello specifico, spiega che questo è i club coinvolti oltre ad essere “indebitati” e quindi poco etici stanno pure “rubando il calcio ai bambini”.

E poi “vuoi mettere la bellezza di una partita come Cagliari-Parma?” aggiungono altri “crociati” che spolverano l’esempio che ritengono più calzante a supportare la propria tesi: e infatti la citano a ripetizione addetti ai lavori, giornalisti, opinionisti che poi, però, nelle loro trasmissioni o testate di riferimento dedicano a malapena due minuti o due righe al sommo “spettacolo”. Al “Club” sulla partita più bella del weekend, sulle prodezze di Cerri e company, hanno dedicato ben zero minuti. È un mondo strano. Dove tutto è così bello e popolare da provare fatica anche solo a parlarne. Meglio la moviola, le polemiche, i retroscena. Dettagli, anche qui.

In questo quadro ci sono due protagonisti assoluti: 1) Agnelli, il presidente “assente allo stadio”, “lontano dalla Juve”, che mentre la sua squadra rischia di star fuori dalla competizione europea si associa ad altri per crearne un’altra in cui certamente partecipare. E che porta a spasso Ceferin, gli spegne il telefono per non farsi trovare. Un genio del “male”. 2) Mourinho, esonerato dal Tottenham all’indomani del nuovo format: è il primo della nuova Superlega. Mentalità pazzesca.

Eh, ma il calcio è altra cosa” ripetono ancora quelli che passano stagioni intere a definire la serie A “imbarazzante”, dove c’è una squadra che “ruba”, “falsa i campionati”, “gestisce gli arbitri”, vince “scudettini” e “coppette” ma solo “fino al confine”: oggi gli stessi vengono a raccontare che il Sassuolo forse non è più “Scansuolo”, che si potrebbe sopravvivere alle moviole forzate, agli “avvelenatori” seriali spacciati per fonti autorevoli di verità e che quel torneo, dileggiato e mediocre, era bellissimo. In TUTTO. Sostengono da sempre che se non esistesse la Juve, autrice delle “vergogne” possibili e di quelle inenarrabili, la serie A sarebbe un posto migliore.

A loro si sta offrendo esattamente ciò che hanno desiderato per anni: un campionato, forse, senza i bianconeri (e le altre del Nord), “regolare”, privo di “sozzure” e “sudditanze”. Dovrebbero essere SuperFelici e invece fanno i SuperOffesi. È un mondo che va al contrario. Una speranza c’è. A Pippo Baudo piace più Juve-Catania che Juve-Real Madrid. Attenzione, dichiarazioni come questa potrebbero rimettere in discussione il progetto.

Superlega sì o Superlega no?

Il nostro commento, a caldo ma motivato, su quanto sta filtrando in queste ore.


di Andrea Lapegna: no

La nuova Superlega europea incarna ed esaspera tutto quel che non mi piace del calcio e di come va il mondo. Il suprematismo del profitto, la commercializzazione dello spettacolo, lo svilimento dello sport in favore del guadagno; i maggiori perdenti sono il merito sportivo (peraltro già demolito negli ultimi 20 anni), la territorialità e i movimenti nazionali. Perché se è vero che il grande ‘morto’ è la Champions League, è difficile non immaginare uno svuotamento di significato nei campionati nazionali, dove le super squadre ucciderebbero la competizione forti delle entrate monstre del nuovo torneo: che speranze avrebbero un Napoli o una Roma contro corazzate dal fatturato triplo e in costante crescita? In che modo una saltuaria presenza in questa competizione potrebbe compensare lo strapotere delle altre? Non si tratta di semplice istinto di sopravvivenza delle big, non si tratta (solo) di colmare le perdite imputabili alla pandemia, si tratta di un vero e proprio club ristretto che segnerebbe la fine dell’aristocrazia e l’inizio dell’oligarchia calcistica. 

E si badi bene, l’avversione alla Superlega non deve essere interpretata come un placet all’attuale governance del calcio: la UEFA ha già contribuito a stritolare tutti quegli aspetti diversi dall’estrazione di profitto. D’altra parte, come è stato già abbondantemente detto, quella tra UEFA e Superlega non è una guerra di soldi vs principi morali, bensì una guerra tra soldi e soldi. Dove a schierarsi si è già perso. 


di Antonio Corsa: hell yeah!!

Ragazzi, ma di cosa stiamo parlando? Con la Champions League è già morta da tempo la meritocrazia. Che merito c’è a partecipare ad una Coppa originariamente riservata ai solo Campioni domestici, essendo arrivati quarti? Il Manchester City che l’anno scorso perde in Inghilterra e quest’anno si gioca la vittoria della Champions cos’è, se non un cortocircuito di chi invoca il merito? E l’Atalanta di turno che si qualifica se entra nelle prime 4 rispetto ai Campioni d’Olanda che devono fare il preliminare che merito avrebbero? E il ranking UEFA calcolato in base ai campionati, le cui squadre però partecipano alle Coppe avendo chi 3 slot, chi 4, chi 5, chi uno… e quindi in situazione di slealtà e vantaggio rispetto ad altri club per mere ragioni geografiche che ipocrisia è? E il Financial Fair Play che risparmia PSG e City? La Champions League non è nulla di quello che tanti stanno idealizzando: è business. 

Fatto male, però. Perchè la fetta più grossa della torta la mangia l’UEFA che non ha rischio d’impresa e pretende pure di dettare le regole ai danni dei club senza i quali il giocattolo non esisterebbe. Il modello americano, che molti fraintendono, non c’entra nulla con retrocessioni o promozioni, con meriti e demeriti: è quello in cui attorno ad un tavolo si siedono da una parte il Commissioner a rappresentare le squadre, e dall’altra i giocatori. Punto. E insieme decidono di che morte morire. Questa è la filosofia. Tutto il resto si aggiusterà col tempo. Nuove squadre dentro, meccanismi di entrata o uscita in base ai piazzamenti nei campionati, nuove regole… L’importante non è “cosa”, né “perché”. Non è nemmeno “quando”. L’importante è “chi”. Chi produce il 99% dei soldi e rischia, deve vedersi riconosciuti il 99% dei ricavi. Dopo di che viva le Cenerentole e le squadre simpatia. A patto che non diventino parassiti e non succhino il sangue di chi quei soldi li produce. Magari buttandoli fuori. Business.


di Jacopo Azzolini: no

Condivido il pensiero di Andrea, questa Superlega esprime praticamente tutto ciò che aborro nella mia idea di sport. Anziché riformare i campionati (e quest’anno ne stiamo vedendo di bellissimi) e il format della CL, si crea un oligopolio definitivo tra un manipolo di club e tutti gli altri, un piccolo gruppo di società che può fare tutto quello che vuole senza alcun controllo. Un mondo in cui si vive di rendite di posizione e non di meriti (basti vedere molte delle partecipanti attualmente fuori dalla zona CL o addirittura dall’EL) .Vorrebbe dire condannare all’oblio perenne piazze e squadre importanti, impedendo a queste di crescere (oltre che di sognare). Trovo ancora più squallido che l’avidità di queste proprietà si manifesti nei terribili anni della Pandemia, in cui interi movimenti e divisioni sono in ginocchio. Capisco che un tifoso della Juventus o dell’Inter possa essere attirato dalla possibilità di giocare partitoni ogni settimana (all’estero stanno invece protestando di più, basti vedere gli account Twitter dei club inglesi), ma è esattamente il tipo di prodotto che mi toglierebbe passione. 


di Davide Terruzzi:

Comprendo il punto di vista espresso da Andrea e Jacopo poco sopra, comprendo perfettamente chi parla di meritocrazia e posizioni da guadagnarsi sul campo, ma la mia idea è diversa.

Iniziamo con il domandarci sul perché si è arrivati a questo punto.

La Champions League è la principale manifestazione tra club organizzata dalla Uefa. Diversi tra questi club hanno anche recentemente fatto notare quanto poco sia valorizzata la competizione con un margine di guadagno inferiore rispetto a leghe di altri sport. Il calcio, che è evento mondiale, vale meno di NBA, NFL ecc. Perché?

Perché la Uefa è stata incapace di creare valore?

Perché i dodici club della Superlega sono riusciti a partire col botto?

La Champions, su pressione anche dei team, nel corso degli anni è stata via via sempre più modificata fino a togliere di fatto il merito sportivo come ha evidenziato sopra Antonio.

Juventus e con lei le altre 11 società – e le diverse che a oggi non ne fanno parte – sono aziende che hanno nella partita l’evento e che operano all’interno del settore dell’entertainment. Loro e i giocatori creano il valore. Non l’Uefa. Perché deve essere lei a guadagnarci?

Le minacce di esclusioni sono irrisorie. Ci escludono dalle competizioni continentali? E sticazzi. Escludono dai campionati? Guardiamo l’Italia: stagione 2006-2007 con la Juventus in B. Questo campionato fa il record positivo in tutto, la A quello negativo. Perché sono i club a creare valore, loro con i giocatori, loro con il seguito di tifosi.

Una Serie A in cui 3-4 team partecipano alla Superlega, altri 3-4 alla Champions andrebbe a creare società con fatturato maggiore rispetto a quello attuale. Atalanta, Lazio, Roma, Napoli, Fiorentina ecc guadagnerebbero soltanto dalla presenza di Juventus-Milan-Inter in Serie A. Si creerebbe un divario? Ragazzi, già esiste. E il Napoli che va vicino a vincere il campionato con Sarri contro una Juventus immensamente più ricca è la dimostrazione di quanto il merito si conquisti sul campo, sempre, perché poi le partite devi giocarle e vincerle.

Attendiamo ora di capire meglio il funzionamento della Superlega che rappresenta per me la naturale evoluzione delle competizioni calcistiche, così come nel basket europeo è nata da anni l’Eurolega. E, purtroppo per me, spesso non è l’Olimpia Milano, che partecipa all’Eurolega, a vincere il campionato.


di Massimo Maccarrone:

Non ne faccio una questione di meritocrazia, né di moralità, non è questo il momento per me di parlare di cosa sia lo sport e come andrebbe gestito. A mio avviso per rispondere alla domanda sulla Super League, bisogna porsene una a priori: cosa sono oggi le 12 fondatarie della Super League? Cosa fanno oggi di preciso, sport o business? La risposta è molto semplice: le squadre con più alto fatturato in europa fanno show business e un business non può essere a perdere ma deve mirare alla crescita costante del fatturato. Con lo sport c’entra qualcosa, probabilmente poco, ma non è questo il punto. La UEFA ha sin qui avuto una visione dispotica, sacrificando sull’altare della competizione, i ricavi. La Super League genererà ricavi molto più alti, perché alla sua base ha un’idea che la UEFA non potrà mai realizzare. Abbandonare la UEFA e la Champions League è la cosa più naturale che si possa fare, certo fanno impressione i tempi, ma in queste due stagioni i club più ricchi sfioreranno i 2 miliardi di perdite complessive a causa del COVID-19, oggi la UEFA non ha previsto un piano di intervento straordinario, anzi ha rivisto al ribasso i premi della CL. Trovo del tutto naturale il meccanismo di sopravvivenza innescato, anche perché la differenza tra quello che è oggi e quello che sarà, sembra abbastanza notevole.


di Claudio Pellecchia:

Il punto per me sta in quel che ha scritto Massimo. Cos’è oggi il calcio? È sport? È business? È sport e business contemporaneamente? E se sì dove finisce lo sport e dove comincia il business? Ciascuno di noi ha una sua visione della cosa, che inevitabilmente influenza il suo essere favorevole o contrario alla Superlega – posto che, comunque, abbiamo ancora troppi pochi dettagli per capire cosa realmente vogliano fare i 12 fondatori a livello di competizione vera e propria. Personalmente, pur condividendo le obiezioni comprensibili di Andrea, Jacopo e tutti quelli che parlano di meritocrazia applicata allo sport, credo che nel momento in cui abbiamo “accettato” che una squadra di calcio diventasse una S.p.A. abbiamo cominciato un ideale conto alla rovescia per quello che è stato ieri e sarà domani. Se le società sono diventate aziende – e lo sono diventate – non possiamo pensare che non obbediscano alle normali logiche di mercato e di investimento, con tutto il resto che passa in secondo piano: Antonio e Davide hanno già sottolineato come il calcio sia ormai un business in perdita e come la UEFA ci abbia messo tanto del suo, io mi limito a osservare che nessuno, in nessun settore, ha interesse a investire se non può ricavarne un profitto. Non è giusto, non è bello, è contrario a qualsiasi narrazione romantica del calcio che fu: è semplicemente la “desertica nuova realtà” con cui dobbiamo fare i conti e nella quale dobbiamo (sopra)vivere. Noi come tifosi/appassionati/addetti ai lavori – per chi avrà ancora voglia di seguire, sia chiaro – sia loro come rappresentanti e protagonisti principali di un prodotto che si è fatto sempre più difficile da vendere nei nuovi mercati di riferimento, e dal quale è più che legittimo vogliano guadagnare più di quanto facciano ora. Era solo questione di tempo e state certi che il calcio sarebbe morto lo stesso, forse solo più romanticamente.