L’emblematico caso Conte, da simbolo del male a sogno degli antijuventini

Leggendo in questi giorni la grande attesa di tutta Italia per la scelta di Conte, viene da pensare che in fondo il punto sia sempre quello: se i non juventini si limitassero a una rivalità accesa, sentita, senza scadere nel moralismo e nella delegittimazione delle persone, non ci sarebbe nulla da ridire, quando poi devono fare un’improbabile giravolta per manifestare il loro folle (e fin lì oppresso) desiderio di averle dalla loro parte.

Per capirci: anche noi non impazzivamo per il Capello romanista, non amavamo l’Higuain populista di Napoli, detestavamo perfino certi atteggiamenti (e tutti quei gol!) del Ronaldo madridista, prima del loro arrivo a Torino: eppure mai c’è venuto in mente di pensare che non fossero eccellenti (o fenomenali, in un caso) artefici di record o di vittorie in serie o che, ecco il punto, fossero moralmente non alla nostra altezza (!). Così, quando l’antipatico Capello è arrivato alla Juve, c’è diventato pure simpatico, perché appunto siamo tifosi, e il tifo è quella irrazionalità che ti fa “odiare” o amare una persona solo perché, in un determinato giorno di mercato, gli è arrivata l’offerta sbagliata o quella giusta. Quello, solo quello, ai tuoi occhi lo renderà un avversario o un fratello per il resto della carriera.

Il problema nasce altrove.

Come sempre, nasce dal modo malato in cui è vissuta la Juventus da chi non la ama: non è una squadra rivale, detestata, antipatica, come noi detestiamo le nostre avversarie. No, è il male, il potere, il nemico, “tutto quello che non mi piace nella vita”, lo specchio e la rovina del Paese, più altre fregnacce di questo genere utili di solito a contrattaccare in ufficio o a spiegare a figli e nipoti come mai vincano sempre gli altri: non hanno più meriti, figliolo, quelli sono il male, quindi non azzardarti a tifarli.

Così, se nella stagione 97-98 (e per i vent’anni successivi) insulti in ogni modo i rivali, li offendi, li reputi e definisci pubblicamente come dei lestofanti che ti hanno rubato i sogni, gridi al mondo che hanno vinto solo grazie a inganni, giuri che avresti meritato tu, non puoi cacciare tre mesi dopo il tuo allenatore e poi prendere addirittura il tecnico di quei delinquenti che non avrebbero dovuto vincere nulla, senza che ti si faccia notare che qualcosa non quadra. Qualcosa che prescinde, appunto, dal tifo e dall’irrazionalità di cui sopra, ma che induce a pensare che tu preferissi il lestofante, al tuo allenatore asseritamente truffato che quindi, forse, non è stato truffato, ma battuto dal migliore.

E si potrebbe andare avanti, anche lasciando perdere il noto tentativo di avvalersi di Belzebù Moggi, per arrivare a Marotta, per il quale si erano spesi giudizi durissimi circa il mercato da lui controllato e il potere esercitato su altre società al suo servizio e si stava arrivando perfino all’accusa di collusione con il tifo malato o addirittura la criminalità organizzata (!), salvo poi, appena libero dalla Juve, portarselo a casa in un batter d’occhio. Non è che allora era semplicemente il più bravo, e non colui che controllava illecitamente tutta la serie A? O magari volete farlo anche voi, mettendo dunque finalmente da parte quella insopportabile patina di moralismo?

Ed eccoci al punto: lo juventino più infamato (perché “detestato” sarebbe riduttivo) che io ricordi, è probabilmente Antonio Conte. Ovunque, ma in particolare a Roma e Milano, gli hanno detto di tutto, fingendo come sempre di essere ispirati da chissà quale fantomatica questione morale, e non dalla banale invidia verso il migliore. Così, andando a braccio e tralasciando i patetici appellativi tricologici, ricordo le accuse di dopato, di moribondo in una clinica svizzera per ragioni di doping, di scommettitore, truffatore, di organizzatore (o al più non nemico) degli illeciti, di “graziato” dalla giustizia sportiva, di avere vinto solo grazie al gol di Muntari o in virtù degli scansamenti delle rivali, in breve di essere da tempo, prima da giocatore e poi da allenatore, il simbolo del male, di tutto ciò che è scorretto, arrogante, potente, ove non illecito e truffaldino.
Tra i tantissimi (l’elenco sarebbe davvero troppo lungo, non ce ne voglia il prescelto), l’attuale direttore de Il Romanista, che dedica da giorni al tecnico di Lecce prime pagine adoranti, solo qualche anno fa, nel dicembre del 2011, teneva le distanze da quel tipo poco raccomandabile, scrivendo che “c’hanno uno dei simboli migliori, tale Antonio Conte, quello che “odiava” Zeman, Zeman quello che denunciava il doping (…), lo juventinismo o la juventinità (bah) fatta persona e parrucca. (…) Dal Salento a Torino, un trapianto di stile. Tu chiamale Ascarità se vuoi. E’ un prodotto perfetto della juventinità, rodato e allevato in vitro, in quelle province di Giuventus, Bari e Siena (così come Atalanta, Avellino, Cesena) che sono state sempre tanto buone e care e ossequiose verso la squadra dei padroni.”

In poche righe, ma se ne potrebbero trovare a decine anche dalle parti di Milano, ecco i riferimenti al presunto odio di Conte verso chi combatte il doping, allo stile, al trapianto (sob!), alle succursali che si scansano contro il potere juventino. Tutto il campionario, o quasi, perché per fortuna Turone era di qualche anno prima e Conte, almeno quella volta, non aveva colpe.

E va benissimo, eh, sia chiaro, a noi piace che sia così, che siate talmente accecati da non riuscire a riconoscere la professionalità e la serietà dei nostri, o quantomeno a esimervi dal dare giudizi morali.

C’è solo un piccolo inconveniente, niente di serio.

Che se poi, dopo avere infamato (ripeto, infamato, non criticato o anche detestato) una persona e un professionista per tutta la sua carriera, non appena se ne intravede la possibilità si brama il suo arrivo, con titoloni e intere trasmissioni radio dedicate all’attesa della sua risposta, alle alternative, agli ostacoli, ai desideri, alle richieste, a ogni sua parola detta informalmente in spiaggia o all’aeroporto (ha detto “vediamo”, pazzesco!), ai più maliziosi potrebbe venire il sospetto che tutto, ma proprio tutto quello che dite sulla Juventus, sulle sue vittorie, sui suoi giocatori, sui suoi allenatori, sui suoi dirigenti, non sia figlio di un pensiero profondo o di una morale integerrima, come fate credere ai vostri pargoli o ai vostri colleghi, ma di un sentimento raccontato abilmente da Esopo ormai diverso tempo fa, credo addirittura prima dei vostri ultimi scudetti, in una favola piuttosto nota con un frutto, un animale e quel disprezzo così ostentato perché ciò che davvero voleva, povera volpe, non era mai stato alla sua portata.

Il Maestro MAssimo Zampini.